giovedì 31 ottobre 2024

Il Paleocene è bello, ma non ci vivrei

Per tutti i fan dell'uso smodato del termine "Antropocene", mi sia permesso dire, che al netto delle angosce, alla fine, climaticamente parlando, non è poi così originale.  A conti fatti, infatti, ci stiamo sostanzialmente per fare un viaggio a cavallo tra Paleocene ed Eocene, grosso modo 55 milioni di anni fa. Potrebbe essere questo un incipit per far gioire quelli del "appunto il clima è sempre cambiato" e "ci sono stati momenti anche molto più caldo di adesso", quelli che negano l'azione antropica sul clima e, quindi, la necessità di adottare un modello socio economico più sostenibile, meno energivoro e soprattutto con meno emissioni di CO2. 

    E' indubbio che il clima sia sempre cambiato e che sia stato anche molto più caldo dell'attuale. Tutto vero. Ma noi, Homo Sapiens, ci siamo evoluti in una data fase climatica e i cambiamenti repentini del clima, come quello in atto, non sono mai stati particolarmente positivi per la biosfera del momento. Per cui, preso atto che le nostre attività impattano in maniera tutt'altro che irrilevante, non necessariamente variando la traiettoria di mutamento del clima terrestre che questo naturalmente forse avrebbe comunque, ma sicuramente accelerandola non poco. Abbracciare il principio che, se non possiamo impedirli, per lo meno non dovremmo favorire le variazioni a noi sfavorevoli, non mi sembra un concetto così ostico, come molto spesso, invece, sembrerebbe. Possiamo discutere sul come, ci mancherebbe, ma sul perché... 

    Dicevamo del Paleocene, un recente studio ricostruisce la transizione climatica del PE (Paleocene - Eocene) per l'area Mediterranea (1), questo è molto interessante perché climaticamente parlando lo scenario è molto simile a quello del RCP 8.5 (2) (Representative Concentration Pathways, RCP - I Percorsi Rappresentativi di Concentrazione sono scenari climatici, elaborati dall'IPCC - l'organismo scientifico internazionale che si occupa dello studio del cambiamento climatico - espressi in termini di concentrazioni di gas serra piuttosto che in termini di livelli di emissioni.  Il numero associato a ciascun RCP si riferisce al Forzante Radiativo (Radiative Forcing – RF), ossia quello in cui non vi sia nessun intervento sulle emissioni di CO2 e si raggiunga un aumento globale di circa 5°C della temperatura planetaria.

     Il passato ci racconta spesso, almeno in Geologia, il futuro. Certo la geografia mediterranea oggi rispetto al PE è diversa, in allora il Mare Nostrum non aveva un perimetro così ben definito ed era un susseguirsi di arcipelaghi, con le Alpi in formazione e un livello eustatico più alto, però, elementi utili per un raffronto ne troviamo. Lo studio della Sezione di Strada Contessa, a Gubbio (sempre a Gubbio di trovano certi affioramenti...) ha permesso di evidenziare come l'area mediterranea fosse caratterizzata da intense e prolungate fasi siccitose, intervallate da fasi più brevi di intensa instabilità con forti eventi di tempesta, sostanzialmente dando una connotazione subtropicale all'area. E' proprio quanto lo scenario RCP 8.5 prevede, una costante e decisa estremizzazione climatica, con un aumento del livello del medio mare, con tutte le conseguenze di cui ho trattato in altri post.

     Ora aggiungiamo che nel Mediterraneo di fine Paleocene, Homo Sapiens era ben lungi da essere presente. Ma oggi c'è e ben insediato nel suo habitat prediletto: la città. L'area Mediterranea è intensamente urbanizzata. Le aree urbane sono caratterizzate dall'avere microclimi soggetti a eventi metereologici intensi e improvvisi. Questo è ben evidente in uno studio che ha condotto un puntuale monitoraggio degli eventi di tempesta che hanno interessato alcuni importanti centri urbani, scelti come campione. Tra di essi, la città di Milano (3). Rispetto alle aree contermini, nelle città sono più frequenti e intense, e tendenzialmente concentrate verso il tardo pomeriggio - sera. Sono eventi di difficile previsione a causa della loro repentinità. La predisposizione a tali fenomeni delle aree urbane si deve in primis alle "isole di calore": le città emettono calore, che generano correnti calde ascensionali, correnti assai umide per via della forte evapotraspirazione, più marcata rispetto alle aree rurali per la maggior impermeabilizzazione del suolo. Queste masse d'aria calda e umida una volta raggiunti gli strati superiori dell'atmosfera, più freddi sono soggette a rapida condensazione in gocce dell'acqua in sospensione, la "coalescenza", ossia il raggruppamento delle stesse in cumulo nembi o in grandine è favorito dagli aerosol urbani - mix di particelle solide in sospensione aeriforme - il che rende più rapida la formazione di celle temporalesche e supercelle, molto localizzate. Va da sé che l'essere maggiormente soggetti a eventi di tempesta intensi, essere aree molto impermeabilizzate, aumenta il rischio alluvionale. 

Il Mediterraneo, quindi, sta diventando un'area subtropicale, con tutte le estremizzazioni del caso, soggetta ad innalzamento eustatico (4), con tutte le criticità che ciò comporta per le aree costiere e le dinamiche dei corsi d'acqua e altro, i record geologici ci dicono che questo trend comporterà un'alternanza di fasi siccitose e di instabilità severa, di questo ci serve consapevolezza ed il rapido avvio di azioni strutturali (5) per affrontare questi scenari - che anche al netto di una rapida ipotetica decarbonizzazione - sono tutt'altro che ipotetici.


(1) https://www.nature.com/articles/s41467-024-51430-6

(2) https://www.cmcc.it/it/scenari-climatici-per-litalia

(3) https://agupubs.onlinelibrary.wiley.com/doi/full/10.1029/2024EF004505

(4) https://www.nature.com/articles/s43247-024-01761-5

(5) https://lavoce.info/archives/106233/bisogna-adattarsi-il-clima-e-cambiato/

venerdì 5 luglio 2024

Il Futuro Prossimo della Laguna di Venezia

Ho più volte esposto gli esiti di numerosi studi che tracciano i possibili scenari evolutivi della Laguna di Venezia e delle aree limitrofe da qui al 2100 in funzione delle previsioni relativamente agli assetti climatici globali e delle loro interazioni con le peculiarità geologiche di quest'area, gli effetti delle attività antropiche e le dinamiche ambientali locali. 

Le previsioni, basate sui dati raccolti plurimi progetti di monitoraggio condotti su più parametri ed elementi da vari soggetti tecnico-scientifici e sulle sempre più sofisticate modelizzazioni, sono ormai sempre più accurate e soprattutto attendibili. E' bene ribadirlo, poiché troppo spesso sia per i media, che per l'opinione pubblica e i decisori istituzionali le conclusioni delle varie ricerche spesso sono ho sottovalutate, o peggio derubricate a catastrofismo porta sfortuna.,

Si dovrebbe, invece, farne accurata valutazione sia per la pianificazione di misure di mitigazione ed adattamento, sia per inquadrarvi i ragionamenti sui prossimi interventi infrastrutturali in ambito lagunare. Ciò invece non avviene o, alla meglio, avviene in modo molto contenuto. La parcellizzazione delle competenze e l'azione spesso disarticolata dei vari soggetti operanti nell'ambito, non produce un processo lineare di salvaguardia, tutela e gestione di quest'area, ma più che altro, una complessa dinamica di plurimi effetti, non sempre chiari, non sempre positivi.

La Laguna di Venezia si estende su un'area di 550 km quadrati, con profondità media di un metro, con però morfologie complesse e canalizzazioni artificiali di maggior batimetria, vi sono elementi peculiari come le barene, le velme, piane tidali, canali. Come noto,  l'intervento antropico sui canali e corsi d'acqua del bacino scolante, sulle bocche di porto hanno profondamente influenzato l'evoluzione e le dinamiche ambientali di questo territorio, con particolare intensità in questi ultimi due secoli, modificandone sensibilmente i destini, iniziati oltre 6mila anni fa.

Attualmente i fenomeni che determinano i processi di trasformazione della Laguna sono  globali, in particolare l'aumento del livello eustatico - l'innalzamento dei mari (Sea Level Rise - SLR) e locali, quali soprattutto la subsidenza, l'abbassamento dei terreni per compattazione (Vertical Land Movement .VLM), il combinato disposto dei 2 processi è un incremento del livello relativo del medio mare  (Relative Sea Level Rise - RSLR)1. Il SLR si deve essenzialmente alle dinamiche climatiche su scala planetaria che portano allo scioglimento delle calotte polari, mentre il VLM è dovuto per lo più alle peculiarità della litostratigrafia regionale e all'assetto idrogeologico.

La vulnerabilità a tali fenomeni, però, non è ugualmente uniforme negli scenari futuri prossimi, in tutto l'ambito lagunare, anche se generalmente crescente, i modelli mostrano che da qui al 2050 - dopodomani praticamente - è la Laguna Nord quella maggiormente esposta, il rischio di un suo più rapido deterioramento è, perciò, un elemento non più eludibile. 

L'incremento del RSLR implica compromissioni di servizi ecosistemici, con effetti su diverse attività economiche, un maggior esposizione a mareggiate intense delle aree litoranee e costiere, con incremento della loro erosione, una maggiore frequenza degli allagamenti nelle aree perilagunari.

A livello globale si stima che il SLR sia di 4mm/anno, in crescita  esponenziale rispetto ai tassi del secolo scorso. L'arretramento delle coste a causa di tale fenomeno da qui al 2080 porta a stimare costi economici di 18miliardi di euro.

Per la Laguna di Venezia significa, per esempio, l'aumento delle acque alte eccezionali, quindi, una maggior frequenza nell'attivazione del MOSE, che però rischia nell'arco di un sessantennio di affrontare fenomeni oltre la propria capacità tecnica.

Di questi elementi oggettivi, però, da molte rilevazioni emerge una lo non adeguata consapevolezza da parte dei portatori di interesse 2. Dove intendiamo le categorie economiche, i cittadini e le loro espressioni istituzionali e associative, che quindi, sono spesso poco "solerti" sulle misure da intraprendere. Questo porta spesso a privilegiare azioni di rapida esecuzione e visibilità, rispetto ad altre a medio-lungo termine. Ovverosia si rimandano quegli interventi che hanno costi nel presente e potenziali benefici nel futuro (quandanche non necessariamente remoto).

Ecco, perché, è necessario il massimo sforzo di comunicazione e divulgazione da parte della comunità scientifica e tecnica. professionale, rispetto a tali questione per far sì che l'opinione pubblica e istituzionale divengano pienamente consapevole di ciò che ci si sta rapidamente parando davanti e si inizino a prendere con determinazione quelle decisioni che competono al presente e che sono, oggi, invece, demandate ad un futuro in cui potrebbero verosimilmente risultare tardive.

riferimenti:

Vulnerability of tidal morphologies to relative sea-level rise in the Venice Lagoon

Sea level rise and extreme events along the Mediterranean coasts: the case of Venice and the awareness of local population, stakeholders and policy makers


sabato 22 giugno 2024

Se si vincola il riciclo

Ritengo ci sia una sorta di profonda contraddizione, se non persino ipocrisia, in tema di riciclo ed economia circolare. Nelle dichiarazioni, propositi e intenti, non c'è cittadino, politico, Ente o Istituzione che non si dica a favore del riciclo e del recupero e della necessità di rendere risorse i rifiuti. Ma si sa, la teoria è una cosa, la pratica un'altra. Non si spiega altrimenti l'idiosincrasia dell'opinione pubblica, la strumentalizzazione politica e le diffidenze delle istituzioni quando si parla di realizzare un impianto di recupero. A prescindere dalla tipologia, anche il più semplice, anche per i rifiuti più banali. 

Qualcuno racconta che basti differenziare i rifiuti, quindi con un sana civismo di cittadini e imprese, per poter trasformare i rifiuti in risorsa. Peccato che non sia così, che il riciclo richieda passaggi impiantisti e processi tecnologici via via più articolati e complessi a seconda del tipo di materiale e della tipologia di rifiuto in partenza. E peccato che spesso i costi di trasporto, se i centri di recupero sono oltre certe distanze, possano essere tali da rendere non sostenibile l'invio a trattamento, con conseguente preferenza allo smaltimento in discarica o in incenerimento. Ecco perché è necessaria una localizzazione ragionata degli impianti di trattamento, per poter soddisfare i bisogni dei territori in un quadro di sostenibilità economica. In Italia le disomogeneità geografiche sono piuttosto consistenti e questo genera profonde disparità nelle performance di recupero del paese. 

I Piani Regionali di Gestione Rifiuti, dovrebbero per l'appunto favorire l'insediamento di una rete impiantistica adeguata ai fabbisogni del paese, certo nel rispetto dell'ambiente e soprattutto all'insegna della sostenibilità. Ma non è sempre così. Porto un caso che mi sto trovando ad affrontare nella mia vita professionale.  La Regione Veneto con il suo Piano Regionale di Gestione Rifiuti, aggiornato con DGRV n. 988 del 9 agosto 2022,  ha individuato dei criteri di esclusione assoluta, ossia dei casi in cui, ai fini della tutela ambientale, della riduzione del consumo di suolo etc etc, non sia possibile realizzare nuovi impianti di trattamento rifiuti o espanderne di esistenti. Si dirà che ciò è un bene per la tutela dell'ambiente e della salute. Queste esclusioni valgono in aree con particolari vincoli, quali per esempio l'ambito UNESCO della Laguna di Venezia, o aree con vincoli per esempio idrogeologici.

Al di là che far fare più strada a mezzi carichi di rifiuti, mi par sempre opzione ben poco all'insegna della sostenibilità ambientale, viene da chiedersi perché vincoli simili valgano solo per gli impianti di recupero e non più in generale. Ossia, nel caso dell'area UNESCO, io posso serenamente realizzare un mega ipermercato, un impianto di biogas, un complesso industriale siderurgico, certo con tutti i crismi e le procedure, consumando suolo e irrigidendo ulteriormente gli assetti territoriali, ma non posso potenziare il sistema impiantistico di prossimità per il trattamento dei rifiuti prodotti in un'area densamente abitata, con importanti sistemi industriali, che quindi necessita di una capacità di trattamento dei suoi rifiuti che stia al passo con le esigenze. Posso insediare attività che producono rifiuti, anche molti, ma non posso potenziare i sistemi per la loro gestione, costringendomi a dover andare altrove, con tutti i costi e gli impatti del caso. 

Questo nonostante gli impianti di trattamento siano fatti con tutti i crismi e gestiti al meglio.

Io penso che ciò sia sostanzialmente figlio di una, ormai purtroppo consolidata opinione negativa - in parte anche per alcune malegestio, è da ammetterlo - sui gestori/trattatori di rifiuti, a parole visti come operatori ambientali, nei fatti come conduttori di attività che è bene siano fatte lontano dagli occhi. L'incapacità di vedere il recupero dei rifiuti come un normale processo industriale da svolgersi in un quadro di tutela ambientale e sostenibilità economica, dirò anche di più, di remuneratività, anziché come un servizio necessario, ma sgradevole, nonostante l'impatto economico che questo ha sui costi di sistema di un territorio, rende l'economia circolare un esercizio retorico e lo sviluppo sostenibile una velleità.

lunedì 15 aprile 2024

Il riciclo dei C&D tra buone pratiche e contraddizioni

L'attività di gestione ambientale in un impianto di produzione di aggregati riciclati pone questioni che si articolano tra concetti tecnici e normativi, spesso con una non facile conciliazione dei due ambiti.

La valenza dell'aggregato riciclato (o End Of Waste - EOW, come si dice oggi) in termini ambientali è indubbia, per contenimento delle emissioni di CO2 dei processi produttivi, riduzione di consumo di matrici ambientali, ottimizzazione delle movimentazioni, recupero di materia, contenimento costi e consumi energetici l'impatto ambientale del sistema è sicuramente positivo, ossia verso il segno della sostenibilità. 

Ciò nonostante le normative ed alcuni pregiudizi, radicati anche nelle PA e negli enti di controllo non ne rendono sempre agevole l'impiego. Basti pensare al fatto che vi sono richieste di parere per l'uso di EOW in luogo di materie vergini, come se questi alla fine fine fossero sempre segnati da una sorta di marchio di Caino, anziché di recupero. Se è pur vero che nel mare magnum dei produttori di aggregati riciclati non mancano i furbastri, lo è altrettanto il fatto che riconoscere gli operatori seri non è così difficile, sistemi di gestione tracciati e puntuali sono ormai molto diffusi e la professionalità nel settore estremamente elevata.

Un caso particolare di conflitto tra gestione e normative si genera proprio al momento della produzione dell'EOW  di riciclato ai sensi del DM 152/22, per i rifiuti da Costruzione e Demolizione (C&D), ma vale anche per il granulato di conglomerato bituminoso (DM 69/18). Un impianto ben gestito si organizza per caratterizzare tutti i flussi che sottoporrà a trattamento - lo chiede la norma oltre che la buona pratica - questo permette di intercettare i flussi non conformi che sfuggissero al controllo visivo e di ridurre al minimo i rischi di produrre lotti fuori specifica. E' pur vero però che il test di cessione di cui al vetusto allegato 3 del DM 5 febbraio '98, qualche dispiacere lo regala sempre, per cui qualche non conformità, specie sui grandi numeri è statisticamente verificabile, per questo a questi impianti servono spazi per stoccare e poter mettere in area dedicata i materiali non conformi, quelli in attesa di certificazione e così via. 

Questo significa che l'aggregato riciclato, fresco di produzione, finché non ottiene gli esiti dei controlli analitici cui va sottoposto per la certificazione è formalmente considerato ancora un rifiuto, sebbene più dal punto di vista documentale che sostanziale e, quindi, in questo lasso di tempo che può durare almeno un apio di settimane, deve essere depositato in area debitamente autorizzata e con determinati crismi tecnici. Solo ottenuta la certificazione, sarà un prodotto, libero dai limiti della norma sui rifiuti e depositabile come materia e soprattutto commercializzabile.

E' vero anche che la normativa impone all'impianto di trattamento rifiuti di registrare i propri movimenti sul registro di carico e scarico entro 2 gg dalla loro effettuazione. Il che vuol dire che l'impianto segnerà l'operazione di recupero e "l'uscita" dal registro rifiuti dell'aggregato al massimo 48h la sua produzione. E' un po' come avere il certificato di nascita quando tua madre è ancora in travaglio.

Nel caso in cui la certificazione analitica non andasse a buon fine, l'impianto si riprenderebbe in carico il materiale, rifiuto (diciamo col CER 19 12 09???) per poi o riprocessarlo o allontanarlo. 

La fase di gestione in attesa di certificazione analitica genera non poche problematiche di logistica agli impianti, richiede spesso più movimentazioni (dall'area di produzione a quella di attesa certificazione per poi essere depositato in quella "libera" per gli EOW), con aggravi di impatti e consumi ed espone a sanzioni  quando lo spazio, dovuto al fatto che le uscite degli EOW dipendono molto dalle condizioni esterne (il fatto che non se ne faccia ancora adeguato uso in edilizia, spesso, genera accumuli durante varie fasi dell'anno - e nel contempo si chiede ai trattatori di gestire i flussi di C&D che si originano nei territori). 

A mio avviso questa fase meriterebbe una "semplificazione", pur mantenendo tutte le necessità di riconoscibilità del lotto o di tracciabilità il deposito degli EOW in attesa di certificazione, magari con segnaletica ah hoc andrebbe permessa anche aree non specificatamente autorizzate per lo stoccaggio rifiuti, pur con opportune precauzioni magari (es. teloni), e soprattutto si dovrebbe rivedere il regime sanzionatorio per questi casi, fatte salve le condotte evidentemente fraudolente.

domenica 7 maggio 2023

La Laguna di Venezia tra MOSE e futuro

E' stata presentata qualche mese orsono la sintesi dei risultati del quadriennio '18-'22 delle ricerche condotte nell'ambito del progetto "VENEZIA 2021" sulla situazione della Laguna di Venezia in particolare, ma non solo, in relazione all'entrata in funzione del sistema MOSE, per la difesa di Venezia dalle "acque alte".  Capofila del progetto è il Consorzio interuniversitario CORILA e tra i soggetti coinvolti vi sono l'OGS, Ca' Foscari, UNIPD, il CNR. La presentazione dei risultati non è stata senza ripercussioni, poiché per alcuni, tra cui è spiccata la voce del prof. D'Alpaos, il quadro emerso sarebbe troppo lusinghiero, specie circa gli impatti del MOSE, di cui il professore è sempre stato strenuo oppositore. A prescindere da tutto, la reciproca denigrazione nuoce alla credibilità complessiva della comunità tecnico-scientifica che si occupa di Laguna e rischia di portare ad un ulteriore ridimensionamento della rilevanza del contributo scientifico nelle determinazioni che vengono e verranno assunte circa gli interventi in ambito lagunare. 

Orbene, in questa mia sintesi della sintesi, mi vorrei permettere di esprimere dal mio modesto e banale punto di vista alcuni commenti su alcune delle evidenze emerse in questa prima fase di ricerca e alcune considerazioni. Per una lettura completa del documento, rimando al sito CORILA ed al loro canale YOUTUBE per rivedere l'evento di presentazione. 

In questa rapida disamina, mi concentrerò sulle linee di ricerca, a me più congeniali, ovverosia su quelle connesse agli aspetti geomorfodinamici. 

Le interfacce lagunari e gli interscambi bacino scolante - mare, costituiscono uno specifico gruppo di linee di ricerca, che hanno comportato ud un'intensa attività di mappatura dei fondali e della morfologia lagunare. Da ciò è emerso che la bocca di porto di Malamocco non ha subito particolari evoluzioni rispetto al precedente rilievo del 2013, mentre si riscontrano fenomeni di deposizione a quella di Chioggia. Si confermano gli effetti di risedimentazione nei canali lagunari interni dei materiali erosi dalle morfologie lagunari, in particolare per le azioni delle correnti generate dal traffico acqueo nel canale Malamocco-Marghera, che si conferma essere elemento di particolare criticità per l'idrodinamica lagunare. Circa i principali corsi d'acqua tributari della Laguna, ossia Osellino e Dese, si riscontra per il primo accumulo di materiali in alveo nel tratto di foce e alla sua sinistra ed accumulo in alveo peril secondo. In entrambi vi è una forte asimmetria della foce con conseguenti distorsioni idrauliche. Risulta pertanto necessario un monitoraggio costante della situazione e la programmazione di attività di dragaggio al fine di garantire adeguata funzionalità al deflusso di tali corsi d'acqua, sia per ragioni ecologiche, ma anche per evitare criticità idrauliche nei rispettivi bacini idrologici.

Tra le attività di studio finalizzate a quantificare e modellizzare quali-quantitativamente gli interscambi mare - Laguna vi è stato un importante monitoraggio di diversi parametri fisico - chimici, quali Ph, salinità, torbidità, analiti vari (metalli, nitrati, solfati, composti emergenti...). Questo ha permesso una puntuale caratterizzazione chimica degli specchi d'acqua lagunari che stima e modellizzazione della perdita di sedimenti della Laguna verso mare, quantificata in 614mila metri cubi/anno, ed una conseguente elaborazione di strategie per la sua riduzione - contenute nel piano Morfologico Lagunare ancora in gestazione. Si è poi condotta un'indagine sulle cosiddette "acque biancastre" fenomeni presenti in laguna che spesso hanno suscitato interpretazioni contraddittorie, ma che si è compreso essere dovute alla formazione di "zolfo colloidale" che si deve all'instaurazione di condizioni di scarsa ossigenazione (ipossia) nella colonna d'acqua e del fondale per fenomeni di inflorescenza algale. Dalle prime osservazioni si osserva la presenza di acque biancastre nella parte centrale della Laguna verso costa in inverno e più verso il litorale in estate. il monitoraggio del fenomeno consente di rilevare l'instaurarsi di condizioni di criticità per gli ecosistemi e quindi anche per la fauna ittica.

Nell'ambito delle varie attività di ricerca, hanno avuto un ruolo molto significativo le caratterizzazioni dei sedimenti, ciò ha permesso di ricostruire sia la situazione pre industriale che ottenere una mappatura dell'attuale distribuzione delle varie tipologie, fornendo un quadro cognitivo indispensabile - o almeno così dovrebbe essere - per la pianificazione delle attività di dragaggio e l'individuazione di aree con criticità per la mulluschicoltura. Si è potuto altresì evidenziare come  come le chiusure del MOSE comportino in taluni punti stagnazione delle acque, con conseguente instaurazione di condizioni ipossiche, le quali, quando associate a particolari "facies" chimiche dei sedimenti comportano la formazione di metilmercurio, composto particolarmente tossico che si bioaccumula nelle catene trofiche e può essere un importante fattore negativo per l'itticoltura, ed in generale per la salubrità degli ecosistemi. Le tecniche e i modelli di monitoraggio elaborati in tali studi, si rivelano particolarmente utili per il controllo degli inquinanti emergenti, quali a titolo non esaustivo citiamo i PFAS.

Sempre connessi alle chiusure del MOSE sono i fenomeni di riduzione di circa il 30% della sedimentazione delle barene, con conseguente maggior erosione e deposizione dei canali con incremento delle necessità di dragaggio dei canali, questione che si deve ritenere avere sviluppi in aumento, tenuto conto che le chiusure del MOSE sono destinate a crescere visto i trend di crescita dei livelli eustatici negli scenari futuri. Scenari futuri che ovviamente  il programma di ricerca aveva in diverse linee di ricerca attività finalizzate all'elaborazione di modelli predittivi per l'evoluzione del sistema lagunare nell'ambito dei trend globali di cambiamento climatico, al fine di poter fornire elementi necessari all'elaborazione dei piani di adattamento climatico e per individuare anticipatamente fattori critici e di rischio. 

Come riferimento generale si è preso lo scenario IPCC RCP 8.5, il più critico, che prevede nessuna riduzione delle emissioni di CO2 e oltre 2.5 °C di aumento della temperatura globale. In tale contesto i modelli delineano aumenti del livello eustatico compresi tra 58 e 110cm da qui al 2100, con aumento dell'altezza di marea di 26-35cm da qui al 2050 - con relativo impiego MOSO - e di 53-171cm al 2010. L'intensità delle mareggiate sembra però destinata a scemare, per un cambio del regime dei venti e l'instaurarsi di lunghe fasi siccitose nel corso dell'anno,  con aumento delle ondate di calore e la concentrazione delle precipitazioni  nella fase autunnale. Questo quadro ha naturalmente ripercussioni rilevanti sugli ecosistemi e sulle attività antropiche, quindi sul sistema socioeconomico. 

I modelli previsionali riguardano molteplici aspetti che vanno dall'ossigenazione delle acque al rischio alluvioni, non solo in ambito lagunare, ma rispetto all'intero territorio metropolitano, permettendo quindi valutazioni su un contesto più ampio. Ora si poe la questione di proseguire i monitoraggi, affinare i modelli previsionali, restituire informazioni e rapporti, attraverso una comunicazione comprensibile ai decisori istituzionali per le scelte strategiche di pianificazione e intervento, con adeguata tempistica e informare la popolazione affinché sia consapevole delle problematiche peculiari cui il territorio in cui risiede andrà incontro. 

Non è possibile pensare di gestire da qui ai prossimi decenni le attività ittiche, turistiche, quelle portuali ed in generale l'intero sistema della gronda lagunare come è stato fatto fino ad oggi, e nel contempo raccontare di "rinaturalizzare" la Laguna.

La Laguna di Venezia è, ormai, un corpo regolato lo sarà sempre di più e domani potrebbe nemmeno più essere definibile come laguna, sono necessarie scelte strategiche rilevanti. Aspettare farà solo aumentare i costi e le criticità.

martedì 22 novembre 2022

Moto ondoso e intrusione salina. Scenari evolutivi

L'erosione costiera in Alto Adriatico, in particolare sulle coste sabbiose del Golfo di  Venezia, fenomeno che riguarda il territorio da San Michele al Tagliamento (e più su Lignano) sino a Rosolina e le spiagge del delta del Po, è un elemento che già oggi desta profonda preoccupazione in relazione ai forti impatti che le mareggiate stanno avendo sull'integrità delle aree di balneazione (e quindi con i danni economici ad un comparto importantissimo) e sulla sicurezza idraulica delle aree di costa particolarmente urbanizzate (si veda il Rapporto 2021 ISPRA sul consumo di suolo). Oltre che ovviamente su Venezia e la sua Laguna. Il quadro risulta ancora più ansiogeno se guardato in prospettiva futura, in riferimento ai possibili scenari evolutivi del clima globale e dei fenomeni a ciò connessi, come per esempio, l'innalzamento eustatico. E' da capire, tra gli altri elementi, quale sarà l'evoluzione del fenomeno del moto ondoso, tra i principali fattori dell'erosione costiera e lagunare. L'innalzamento del livello del mare esporrà ulteriori aree a rischio mareggiate e inondazione, inoltre acuirà il problema dell'intrusione salina nell'entroterra, fenomeno che quest'anno si è manifestato con particolare intensità.

Alcuni studi recenti provano a far luce su questi aspetti. Il CNR e il Dipartimento di Ingegneria Civile di Padova (ICE), partendo dalla necessità di elaborare previsioni in arco pluridecennale sulla funzionalità del sistema MOSE, in particolare in relazione al tema delle mareggiate, si sono posti il tema di verificare i modelli locali degli scenari connessi agli effetti globali di cambiamento climatico. Si sono considerati due scenai principali, ossia quelli IPCC definiti 4.5 e 8.5 nell'ultimo rapporto, quello della COP di Parigi per intendersi. Lo scenario 4.5 è definito intermedio, ovvero è quello in cui le emissioni di CO2 si assestano a circa il doppio dei livelli preindustriali entro fine secolo a seguito della messa in atto di alcune misure per il contenimento dell'anidride carbonica. L'8.5 è lo scenario pessimista, nessun contenimento delle emissioni e contenuto di CO2, quadruplicato a fine secolo rispetto ai livelli preindustriali. Attraverso i dati rilevati da 120 boe collocate lungo la costa adriatica e il programma ERA5 per l'elaborazione di modelli climatici - che è stato oggetto anche di aggiornamento nei suoi parametri per effetto dei dati raccolti - si è potuto arrivare a proporre degli scenari che vedono in maniera più marcata nei due differenti contesti IPCC che il moto ondoso nell'Alto Adriatico, per effetto dell'attenuazione dei fenomeni di Scirocco tende a mitigarsi, pur in un contesto di aumento del livello del medio mare. I processi di sedimentazione tendono, però, a mostrare delle variazioni per il mutamento delle direzioni predominanti dei venti, tendenti più verso ovest, rispetto alla situazione attuale. Ciò dovrebbe portare, in base alle evidenze delle modellizzazioni, all'accumulo di sendimenti lungo i litorali del Delta e della Laguna Sud e invece a riduzioni in quelli della Laguna Nord e del Golfo di Trieste. Questo aspetto va attentamente valutato, poiché laddove sanno minori accumuli di sedimento, ovviamente l'esposizione ai rischi di erosizione sarà più marcata. 

Come detto, altro fenomeno connesso all'innalzamento del livello del mare è quello dell'ingressione salina, a cui abbiamo già dedicato un post e che è l'intrusione di acque salmastre entro i corsi d'acqua e gli acquiferi sotterranei, per effetto sia dei normali ritmi mareali, ma che, per esempio, periodi siccitosi rendono più intenso ed esteso territorialmente, con effetto su flora, fauna, colture, suoli.... L'area sud della Laguna di Venezia soffre da sempre di tali effetti, per questo è stata oggetto di uno studio del CNR. Si è approfondita la ricostruzione della stratigrafia dei primi 20 metri sotto il piano campagna, per poter valutare in che misura, appunto, l'assetto stratigrafico influenzi il fenomeno. Si è potuto rilevare che la presenza di intercalazioni di materiale fine, favoriscano la formazione di lenti di acqua dolce in sospensione sulle acque saline. La presenza di  strati interdigitati tendenzialmente comporta una maggior separazione delle acque dolci dalle salmastre. I paleoalvei possono fungere da vie di ingresso preferenziale delle acque salate, per questo una loro mappatura diviene fondamentale per poter prevedere l'estensione di potenziali eventi di intrusione di acque marine.

I modelli previsionali sono ovviamente fondamentali per poter costruire gli scenari climatici, con i loro effetti in termini di manifestazioni meterologiche e mutamenti vari, a cui stiamo andando incontro. Ovviamente i modelli vanno continuamente testati e aggiornati alla luce dei dati di volta in volta disponibili. Questo comporta un costante e progressivo affinamento delle interpretazioni e delle misure operative da adeguare a queste. Ecco perché l'adozione di piani di adattamento climatico diventa quanto mai urgente, piani che devono essere traguardati nel medio lungo periodo ed avere un monitoraggio costante. Tanto per dare un esempio, il Veneto NON ha un suo piano di difesa della Costa. Sarebbe ora di iniziare a pensarci.


 

 


Bibliografia

Correction of ERA5 Wind for Regional Climate Projections of Sea Waves, Water 2022, 14(10), 1590

Representative and Morphological Waves along the Adriatic Italian Coast in a Changing Climate, Water 2022, 14(17), 2678

Morpho-Sedimentary Constraints in the Groundwater Dynamics of Low-Lying Coastal Area: The Southern Margin of the Venice Lagoon, Italy, Water 2022, 14(17), 2717

 

sabato 17 settembre 2022

Settimana del Pianeta Terra X Edizione

 

Per la decima edizione della Settimana del Pianeta Terra non potevamo mancare. Abbiamo organizzato una esperienza ludica, con cui spiegheremo ai ragazzi i concetti del dissesto idrogeologico e della mitigazione del rischio idraulico, temi di estrema attualità oggi. Saranno un paio d'ore di apprendimento e divertimento. Non mancate. Prenotazioni entro il 4 ottobre via mail: acquedelmirese@gmail.com


Il Paleocene è bello, ma non ci vivrei

Per tutti i fan dell'uso smodato del termine "Antropocene", mi sia permesso dire, che al netto delle angosce, alla fine, clima...