sabato 11 ottobre 2025

Predire i terremoti: il Radon tra illusioni e possibilità

Credo che qualcuno ricordi, in particolare all'indomani del disastroso terremo dell'Aquila la figura di Gianpaolo Giuliani, tecnico  dell'Istituto Nazionale di Fisica Nucleare che dichiarava di aver messo a punto un sistema di "previsione" dei sismi con margini di preavviso dalle 6 alle 24 ore basato sul monitoraggio delle emissioni dal suolo del gas Radon. Delle sue previsioni si ricorda quella innavverata di un previsto (da lui) sisma a Sulmona, mentre le altre erano note solo a sismi avvenuti 1). Ovviamente divenne un caso mediatico e non mancò di dichiararsi osteggiato dalla sismologia "mainstream". Alla fine fondò un suo centro di ricerche, finanziato dalle donazioni dei suoi follower, fu ovviamente anche supportato da taluni movimenti politici, per ovvi interessi in termini mediatici e da alcuni media, guarda caso gli stessi che ritroveremo a suffragare i vari Stamina e compagnia a venire.  E' morto nel 2022 2). E' stato uno dei molti casi,  della nostra storia recente in cui l'opinione pubblica si lasciò trascinare da un'onda emotiva, Giuliani divenne una sorta di simbolo dopo il sisma dell'Aquila, in contrapposizione con la Scienza "ufficiale",  e la comunità scientifica dimostrò tutti i limiti della propria comunicazione verso la società. Il "sistema Giuliani" aveva il difetto, come capita sempre in questi casi, di non superare il vaglio del metodo scientifico una volta messo alla prova. Vallo a spiegare a quelli che inneggiano a novelli Galileo a ogni piè sospinto. In ogni caso la vicenda, unita al processo ai membri del comitato grandi rischi per il terremoto dell'Aquila costituì uno di quegli eventi che fecero sedimentare nell'opinione pubblica sfiducia e ostilità verso le istituzioni scientifiche.

Questo perché chi offre una speranza ha sempre miglior accoglienza nel dibattito pubblico, ma la Scienza dovrebbe in primis dare certezze affidabili. Poter prevedere i terremoti con certezza e anticipo sarebbe certamente una gran cosa, consentirebbe la messa in sicurezza di vite e averi, evitando tragedie. Ovvio che se qualcuno ce lo promette, noi lo ascoltiamo con fiducia.

In tal senso le potenzialità del Radon non sono campate in ariac 3). Il Radon è un gas derivante dal decadimento di radionuclidi instabili 4), isotopi del Radon, Rn221 e Rn220, derivano dal decadimento di Uranio e Torio presenti nel sottosuolo. La litologia fa si che in alcune zone  siano particolarmente esposte alle emissioni di Radon, che è un agente patogeno, e perciò sia richieste delle particolari attenzione in fase di progettazione e realizzazione degli edifici per evitarne l'accumulo all'interno, esistono mappe apposite del rischio e protocolli di monitoraggio. 

Il Rn221 ha un tempo di vita di circa 4gg, mentre il Rn220 di qualche ora, l'oscillazione della loro concentrazione potrebbe, quindi, consentire di preavvertire l'arrivo di un sisma con un buon preavviso. La risalita del Radon sarebbe favorita dai movimenti presisma lungo le faglie e dai rilasci tensionali dei terreni. Nonostante, però, i molti studi in materia, particolarmente di nazioni quali la Cina, l'Italia, l'India e la Turchia 5), paesi che, per ragioni di vulnerabilità sismica, sono molto attive in questi campi di ricerca, si è ancora ben lungi dal riuscire a mettere a punto un sistema di previsione sismica (previsione si badi non prevenzione - prevenire un sisma non è possibile), basato sul Radon che sia non solo affidabile, ma utilizzabile. Questo è dovuto alla complessità della questione. Vi sono numerosi elementi che rendono ardua questa possibilità:

- la contaminazione ambientale, il Radon è un gas presente in natura, le cui oscillazioni si devono a molteplici cause, si dovrebbe, quindi, in un ipotetico monitoraggio riuscire a misurare solo il gas correlato con l'attività sismica.

- servirebbe avere poi un'adeguata serie storica di dati per costruire dei modelli da testare. Come per il clima, l'attività di previsione richiede lunghe serie di dati per costruire algoritmi da far girare. Ovviamente queste non esistono per il Radon, le misurazioni sono in corso da relativamente pochi anni e in modo disomogeneo. Servono davvero ancora molti dati per iniziare a imbastire su qualcosa.

Il caso Radon, rappresenta bene la difficoltà della costruzione di modelli previsionali affidabili su vasta scala  su fenomeni terrestri complessi. Soprattutto per la tipologia di modelli che si vorrebbe, cioè in grado di fornire indicazioni precise a livello sia geografico che temporale. Nel caso delle alluvioni ci si sta abbastanza riuscendo, per i sismi è molto più complicato, le variabili sono molte, gli aspetti da monitorare anche e come detto le serie dati non sufficienti, ecco perché sarebbe bene non lasciarsi illudere troppo quando sentiamo di soluzioni mirabolanti.

La ricerca e lo studio devono andare avanti in modo adeguato, ma si deve lavorare molto sulla formazione delle istituzioni e della popolazione alla cultura del rischio e ovviamente realizzare strutture adeguate al rischio sismico specifico di ogni singolo territorio.

2) È morto Giampaolo Giuliani

3) Radon

5) Radon Anomalies and Earthquake Prediction: Trends and Research Hotspots in the Scientific Literature


domenica 27 luglio 2025

FANGHI a NORDEST

La Commissione Regionale VIA del Veneto, settimane fa ha espresso parere negativo sul progetto ENIREWIND, società del gruppo  ENI, per la realizzazione di un impianto di valorizzazione energetica di fanghi da depurazione da 190mila tonnellate/anno 1). Molte le dichiarazioni soddisfatte dei politici e comitati locali contrari al progetto, non che quelle degli esponenti regionali che evidenziavano l’attenzione delle Regione alla salubrità ambientale. Al di là di quelle che possono essere le simpatie politiche di ciascuno, ma va detto che in Veneto una problematica sulla gestione fanghi da depurazione esiste; nella regione sono gestite circa 345 mila tonnellate di fanghi, l’11,4% del totale nazionale, seconda regione italiana per produzione dopo la Lombardia, prevale l’operazione di smaltimento D8 “Trattamento biologico” con 140 mila tonnellate, corrispondenti al 40,6% del totale gestito, seguito dal “Riciclo/recupero delle sostanze organiche” (R3) con poco più di 136 mila tonnellate. Circa 12mila  tonnellate finiscono esportate in Austria Germania e Croazia 2). Operazione onerosa sia economicamente che ambientalmente. Teniamo conto, poi che mano a mano che il servizio di depurazione urbana si estende nel territorio, i quantitativi sono destinati ad aumentare.

C’è la questione dei PFAS, le sostanza perfluoroacriliche, che sappiamo essere un problema vero 3), e che finiscono nelle acque reflue. Se vogliamo gestire i fanghi da depurazione in agricoltura, piuttosto che in altro modo, allora bisogna mettere mano pesantemente ai sistemi di depurazione urbana, affinché siano in grado di rimuovere TUTTI i PFAS dai fanghi e questo vuol dire un revampig dell’impiantistica esistente molto significativo. Con costi a carico della collettività, per chiarezza. Ed in ogni caso una volta rimossi i PFAS da qualche parte vanno messi. Infatti, i vari sistemi di rimozione dei PFAS attuali, carboni, resine, osmosi inversa, alla fine producono comunque dei prodotti esausti in cui questi composti sono estremamente concentrati e che vanno a smaltimento - discariche solitamente - stiamo creando, quindi, dei vari "hot spots" per i PFAS, che dovremo gestire per chissà quanto. 

La decomposizione termica resta il procedimento più promettente per la loro eliminazione, piaccia o meno a certuni, su questa via stava lavorando anche l’EPA (l’agenzia per l’ambiente USA), che sta affrontando la questione con circa un ventennio di anticipo sull’Europa, prima della fase demenziale della gestione trumpiana. Ormai sono  numerosi, consolidati e robusti gli studi che dimostrano una rilevante scomposizione dei PFAS in composti non nocivi o comunque più trattabili già a 850°C ossia la temperatura di molti dei termovalorizzatori a letto fluido odierni 4). Chissà perché questi studi escono da società simil ENI o da aziende che trattano i fanghi? Chissà perché gli studi sui farmaci escono sempre dalle case farmaceutiche? Mi pare ovvio che la ricerca applicata sia condotta prevalentemente da chi poi è impegnato nello sviluppo tecnologico delle stesse, certo c'è una componente di business ci mancherebbe, ma questo non vuol dire necessariamente che venga meno il rigore scientifico, che deve essere verificato rispetto agli studi presentati.

Per quanto riguarda il caso Veneto la commissione VIA ha cassato il progetto ENIREWIND anche per una  gestione dell’istruttoria documentale da parte del proponente, che a molti non è parsa adeguata per un’azienda di questa caratura. Ora, qui si può entrare nel campo delle supposizioni sull'argomento, nel senso che per molti in realtà l'Azienda voglia disimpegnarsi da Porto Marghera e che stia attuando un'elaborata exit strategy per poter, ad un certo punto, dire che se ne va per le ostilità del sistema locale, ma questa è dietrologia e non è lo scopo della mia riflessione. Vero è, però, che progetti simili vanno ben sostanziati con robusto supporto tecnico, il più dettagliato e chiaro possibile e che vada messa in conto un iter istruttorio complesso. Ed anche l'ostilità di soggetti che sono contrari a priori a progetti simili. Per altro ENI sapeva che vi era già stata una procedura precedente alla sua, che aveva già suscitato ampi dibattiti, condotta dalla multiservizi locale per un ampliamento del proprio polo di trattamento rifiuti, con la realizzazione di una nuova linea di termovalorizzazione combustibile da rifiuti e una per la valorizzazione energetica, con un revamping di un esistenti impianto a biomasse, situato a Fusina, sempre a Porto Marghera, dei fanghi da depurazione dei propri depuratori - dalla potenzialità di 90mila tonn/anno 5).

Progetto, con iter altrettanto accidentato e contestato, ma che la medesima commissione VIA aveva approvato comunque, segno che da parte degli organi tecnici istituzionali, ancora, non vi è ostilità aprioristica sui progetti che prevedono trattamenti termici, anche se sono sempre guardati con particolare cautela. Sicuramente ENI avrebbe potuto fare meglio tesoro di quel precedente. 

Per dovere di cronaca, a ormai da oltre un lustro dalla valutazione positiva sull'impatto ambientale, il progetto della multiservizi, che mirava a ottimizzare il ciclo locale di depurazione, si è poi, per me, inspiegabilmente arenato, forse, probabilmente per una certa inconcludenza, o acquiescenza a logiche diverse da quelle industriali. Fatto sta che appare uno spreco di risorse condurre istruttorie in cui si ribadisce la valenza di determinate proposte e non portarle a realizzazione quando si riesce a farle autorizzare. Magari un giorno, sperando serva ancora, forse vedremo un impianto per la valorizzazione energetica dei fanghi da depurazione a Porto Marghera. 

Per il momento resta un intendimento perso nelle secche della Laguna, mentre i fanghi continuano le loro onerose peregrinazioni. 

Ah dimenticavo, i fanghi che dal Veneto vanno in Austria, Germania, Croazia, su camion diesel, sono destinati a valorizzazione energetica, in alcuni casi, addirittura, in cementifici. Assieme a tanti altri nostri rifiuti che per insipienza non trattiamo qui.

1) Inceneritore Eni a Marghera, dalla VIA parere negativo. sito Regione Veneto.

2) Rapporto Ispra Rifiuti Speciali 2025. ISPRA

3) Cosa sono i PFAS. Istituto Mario Negri.

4) Experimental investigation on PFAS degradation through municipal sludge combustion processes. ENI-Rewind, CNR

5) A Fusina non ci sarà alcun nuovo inceneritore. Veritas

lunedì 7 aprile 2025

Tergiversando in Laguna

Una vecchia canzone popolare veneziana intitolata "Valesando in Laguna" racconta delle peregrinazioni di un uomo con la sua barca a remi (remando appunto alla "valesana") per la Laguna di Venezia, tra Marghera, la Giudecca, Sant'Erasmo....  La canzone è un autentico affresco della Laguna che fu.

In questi giorni è uscito uno studio di ricercatori INGV (L'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia) e altri in cui vengono delineati gli scenari evolutivi per il sistema della Laguna di Venezia rispetto alle varie situazioni climatiche illustrate dall'IPCC (International Panel for Climate Change) in funzione dell'andamento delle emissioni di CO2. Nel caso peggiore, ossia quello in cui non si faccia nulla per contenere l'Anidride Carbonica (cosa credibilissima nell'era Trump), nel 2150 il MOSE non sarà più adeguato a proteggere Venezia dalla acque alte. Anche nel caso delle scenario IPCC intermedio, ovvero che si riesca a contenere il riscaldamento globale a ulteriori 2,5°C, le chiusure delle barriere mobili dovranno diventare così frequenti da compromettere irrimediabilmente l'ecosistema lagunare. 1

Lo studio dell'INGV ha provveduto a confrontare i modelli previsionali  basati su varie stazioni di monitoraggio in ambito lagunare e su più sistemi di rilevamento, mostra come nello scenario "migliore" nel 2150 ci sarà un innalzamento (dovuto al combinato disposto del fenomeno globale di innalzamento marino, per effetto dello scioglimento dei ghiacci polari e dell'aumento di volume delle acque marine) del livello del medio mare della linea di costa di circa 80cm, che salgono a 1,50 m nel caso più sfavorevole. Ovviamente queste situazioni comporteranno un aumento della frequenza delle acque alte e delle superfici allagabili della città.

In allora il MOSE non sarà più funzionale a tali contesti. Di questo studio è stato enfatizzato soprattutto questo aspetto da parte degli organi d'informazione e dal dibattito pubblico, allo scopo più che di ragionare sulle sorti della Laguna, di rinfocolare la polemica tra pro e no MOSE.

Al netto delle opinioni sulle dighe mobili va detto, a onor del vero, che il tempo di vita utile dell'opera è sempre stato quello di un secolo, per cui è la scoperta dell'acqua calda - o meglio salata - dire che nel 2150 il sistema non sarà più adeguato. il Professor Andrea Rinaldo ha sempre chiaramente esporto come il MOSE avesse un compito vero, farci guadagnare tempo per attuare tutta quella serie di interventi di adattamento necessari per tutelare la città e pianificare le sorti della Laguna. In una recente intervista il professore, in modo duramente realista, sottolinea l'importanza delle misure di adattamento, ben consapevole che è pura utopia il pensare di poter arrivare all'azzeramento delle emissioni carboniche e che anche ci si arrivasse non si bloccherebbero o invertirebbero gli effetti del riscaldamento globale. E il problema ce lo si deve porre anche per assicurarsi non solo di saper in allora reggere agli urti di un clima diverso, ma di avere ancora acqua idropotabile a disposizione. 2

Non si può pensare di riavere la Laguna di 100 anni fa, alla luce degli scenari che ci si parano davanti, non si può pensare di poter salvaguardare Venezia - che non è destinata ad affondare come Atlantide, quanto a marcire per effetto dell'erosione e della salsedine come espone il prof. Rinaldo - e nel contempo preservare la Laguna se è necessario aumentare le chiusure delle bocche di porto. Gli ambienti lagunari sono sistemi di transizione che si basano sull'interscambio con il mare, senza, degradano rapidamente. La perdita di ambienti simili non è solo una perdita in ambito paesaggistico o naturalistico, ma è anche un elemento di ulteriore aggravamento del quadro climatico. Come evidenzia uno studio condotto anche da ricercatori dell'Università di Padova,  i terreni lagunari immagazzinano al momento qualcosa come 17.108 tonn di Carbonio per Km quadro, con un tasso di accumulo di 85 tonn per Km quadro l'anno. L'interruzione dell'interscambio mare - laguna comporta riduzione nella formazione di suolo, riducendo l'accrescimento del sistema di barene e con esso si riduce di almeno un 30%della capacità di sequestro di CO2, come si vede è un circolo vizioso. 3 

Cinicamente, mi verrebbe da dire che, ai fini di ridurre gli effetti del riscaldamento globale sarebbe prioritario salvaguardare la Laguna piuttosto che la Città. Sebbene sia impossibile per chi ha visto Venezia, non percepire la sua scomparsa come la peggiore delle cose che l'Umanità potrebbe lasciar succedere.

Certo è che bisogna delineare delle linee di intervento chiare, decidendo cosa si può davvero tutelare o no. Ma non si può raccontare la storia che si possa salvaguardare la Laguna, la Città, le attività tradizionali, il Porto, il polo industriale, il turismo....

I decisori istituzionali continuano a non voler affrontare questi nodi, a non leggere i dati che arrivano dal mondo scientifico impegnato su Venezia e la sua Laguna, o a leggerli sempre senza traguardare più in là o sulla base delle polemiche del momento, veicolando messaggi del tutto inadeguati all'opinione pubblica.

Il MOSE ci sta dando del tempo. Pagato a caro prezzo si dirà, certo, vero, ma perciò ancora più prezioso, ma in Laguna si continua a tergiversare.

1 Multi-Temporal Relative Sea Level Rise Scenarios up to 2150 for the Venice Lagoon (Italy)

2  Andrea Rinaldo: «Avremo ancora acqua da bere? Gli scenari sono uno peggio dell'altro. E Venezia marcirà in 60 anni» - Corriere della Sera del 28 marzo 2025


Predire i terremoti: il Radon tra illusioni e possibilità

Credo che qualcuno ricordi, in particolare all'indomani del disastroso terremo dell'Aquila la figura di Gianpaolo Giuliani, tecnico ...