Solitamente quando si parla di rischio idraulico, il pensiero corre immediatamente a immagini di esondazioni fluviali, crolli arginali, fenomeni franosi, a città allagate in occasioni di fenomeni meteorici intensi e quindi, anche la mitigazione del rischio idraulico è intesa sopratutto in relazione a tali tipologie di scenari. Si pensa alle conseguenze dell'impermiabilizzazione del suolo e al meteo che cambia in relazione al cambiamento climatico. Nel novembre 2019, però, la seconda acqua alta più elevata (187 cm sul livello del medio mare) della storia dacché si misurano nella Laguna di Venezia, ci ha ricordato che le coste sono ovviamente anch'esse fortemente esposte a tali fenomeni, se non di più. In particolare i fenomeni globali di eustatismo - innalzamento del livello del mare a causa dei fenomeni connessi col riscaldamento globale - in queste zone hanno i loro effetti più significativi. Nel caso dell'alto Adriatico e particolarmente della Laguna di Venezia e zona del Delta del Po' a tale fenomeno globale se ne assomma un secondo prettamente locale, causato da fenomeni naturali e, in taluni casi, antropici, ossia la subsidenza, ovvero lo l'abbassamento del piano campagna rispetto al livello del mare. Ciò è dovuto ai naturali processi di compattazione che subiscono i sedimenti nei processi di litificazione (vulgo: trasformazione in roccia), ai processi di degradazione della sostanza organica presente, o a fenomeni di emungimento delle acque sotterranee (per esempio negli anni '70 nella zona di Porto Marghera l'estrazione per usi industriali ha provocato abbassamenti pluricentimetrici, di uno o due ordini di grandezza superiori a quelli naturali), in particolare questa attività comporta, col prelievo delle acque di falda, la riduzione della pressione neutrale, ossia la pressione esercitata dall'acqua nel terreno che è contraria alla pressione gravitativa (cioè quella derivante dal peso dei sedimenti soprastanti) e questo provoca il cedimento dei terreni, per compattazione dei vuoti lasciati dall'acqua emunta. Vi è poi un'interazione tipica delle zone costiere con interconnessione dei terreni marini e quelli continentali, come nel caso della costa veneta-romagnola, tra acque marine, che tendono a infiltrarsi "sotto" le acque di falda costiere (essendo salate sono più dense), tanto più verso terra maggiore è il livello eustatico: è il cosidetto cuneo salino, che oltre a provocare fenomeni di allagamento "da sotto" per l'innalzamento della superficie di falda, danneggiare le colture - quelle con radici più lunghe si "bruciano" al contatto con le acque salmastre - provoca anche fenomeni di "decarbonatazione delle argille" che sostanzialmente si decompongono per interazione chimica tra gli ioni presenti nelle acque marine e i propri composti carbonatici, ciò genera una riduzione di spessore che amplifica i fenomeni di subsidenza. E' un complesso intreccio di fenomeni globali e locali. E' da dire poi che l'abbassamento della linea di costa provoca difficoltà nello scarico dei corsi d'acqua e questo genera problemi idraulici nell'immediato entro terra e progressivamente sempre più verso monte. Nel caso specifico della città di Venezia la questione è resa anche più complessa dalle dinamiche legate alle attività di preservazione della città. Tosi, Teatini e Strozzi già nel 2013 in uno studio su Nature Communicatiosn rilevavamo le implementazioni locali di fenomeni subsidenti annessi alle manutenzioni delle fondazioni dei palazzi storici o dello scavo dei rii.
L'aspetto più critico di questa molteplicità di fattori problematici che rischiano di influenzare pesantemente la vita delle comunità insediate nel territorio della gronda lagunare di Venezia, e più in generale dell'alto Adriatico nei prossimi decenni, è che appare non vi sia affatto adeguata coscienza di ciò, non solo nelle popolazioni, ma nemmeno nelle Istituzioni. Eppure la comunità scientifica ormai sempre più pressantemente lancia allarmi, diffonde dati, propone soluzioni.
"Le Scienze" di Marzo dedicava la copertina a Venezia con l'eloquente titolo "Venezia Affonda" in quel numero si riportava un articolo di Anzidei, Vecchia e Florindo, ricercatori INGV, che riassumevano i vari risultati del progetto SAVEMEDCOASTS, progetto di ricerca circa i rischi di ingressione marina nelle piane costiere mediterranee. Nell'articolo si riportava che su 163 piane costiere, ossia aree che arrivano al massimo entro i 2 metri sul livello medio mare, per la combinazione dei vari fattori ricordati, praticamente nessuna esisterà fra 80 anni, stanti gli attuali trend climatici, l'area più ampia e con il maggior numero di abitanti coinvolti, manco a dirlo, è la costa altoadriatica. Le proiezioni dei vari modelli ci danno come probabile un incremento eustatico di circa 80 cm da qui al 2100 - pur con un incertezza di 25 cm - che però potrebbe diventare di oltre 2 metri, nello scenario peggiore di mutamento climatico posto dall'IPCC. A questo si aggiunge il tasso di subsidenza, mediamente di circa 3mm l'anno per la Laguna di Venezia, ma anche di 8mm in talune aree del Delta del Po'. I medesimi autori dell'articolo delle Scienze, in uno studio più articolato del 2019, pubblicato sulla rivista WATER, evidenziavano appunto come la subsidenza sia un fattore locale che probabilmente comporterà l'anticipo anche di qualche decennio degli effetti che l'IPCC prevede, a seguito del cambiamento climatico, per le varie aree costiere e per questo sollecitavano nelle conclusioni del loro studio, i decisori istituzionali a maggior solerzia nell'adottare misure di contenimento degli effetti.
La cosa che, relativamente alle possibilità di scenario, rende ancora più preoccupante la situazione è che mano a mano si perfezionano i modelli matematici e sopratutto gli strumenti di rilevamento, appare sempre più probabile che i livelli di innalzamento eustatico siano sottostimati e non di millimetri, ma di metri. Uno studio del 2019 pubblicato su Nature Communications, mostra che nuovi rilievi della NASA danno un errore, per difetto, alle stime fatte con gli attuali dati di rilevamento di circa due metri. Ossia gli scenari futuri di incremento eustatico sono errati di circa due metri. In termini di popolazione significa che da qui al 2100, nello scenario IPCC più ottimistico, 190 milioni di persone si troveranno in aree costiere che verranno sommerse o semi sommerse, con un incremento di 80 milioni rispetto alle stime attuali. Ma ciò che spaventa è il dato rispetto allo scenario IPCC più pessimista (ossia quello in cui non facciamo un tubo e la temperatura globale cresca di altri 2 gradi almeno), in quel caso sono 630 milioni le persone coinvolte, con circa già 340 milioni interessate nel 2050, a fronte delle 250 milioni odierne, risiedenti in area a cira un metro sul livello del medio mare (sono circa un miliardo gli abitanti attuali che risiedono in aree entro i 10 metri sul medio mare e saranno tutti coinvolti dai fenomeni di innalzamento eustatico o direttamente o indirettamente per i problemi idraulici che si instaureranno nell'entroterra). Questo ci impone di rafforzare lo studio e l'investimento in tecnologie di rilievo e elaborazione dati.
Tornando alla zona perilagunare, va detto che non siamo all'anno zero, pur tra tante difficoltà. Il monitoraggio della fascia costiera - che ricordiamo nel caso Veneto è pure una delle zone con gli indici di consumo di suolo tra i peggiori d'Italia - è in atto, e proprio per la complessa combinazione di fattori globali e locali si è adottato un approccio di suddivisione delle zone litorali in sub unità di estensione contenuta, separando intanto le zone litorali urbanizzate da quelle (poche) non urbanizzate, e, poi, rilevando puntualmente le zone soggette a erosione e quelle ad accrescimento per via delle dinamiche delle correnti marine, al fine di pianificare in modo puntuale interventi di difesa e rispascimento, uno studio del 2018 pubblicato sempre su WATER, illustra bene la metodica, evidenziando come siano attualmente strutturati i processi di erosione costiera nel litorale veneto. Il litorale è stato suddiviso in 20 unità funzionali, legate alle rispettive fonti di deposito sedimenti, per lo più corsi d'acqua, si sono analizzate le dinamiche erosive e alla luce di queste implementate eventuali soluzioni di difesa. Lo strumento è buono, ma va continuamente aggiustato in ragione dell'evoluzione dello scenario globale, tenuto conto che la difesa delle coste diventa attività sempre più complessa e onerosa.
Concludendo questo escursus, ricordiamo che prima della fine dell'ultima glaciazione(10mila anni fa circa) il livello del mare era 120 metri più basso di oggi, la costa era ad Ancona. Ma in precedenza, il livello è stato anche di 120 metri più alto (ai poli non vi erano calotte), questo a ricordare le dimensioni che il fenomeno eustatico può avere e la rapidirà in cui si manifesta. Orbene, se è vero che per i fenomeni globali servono soluzioni globali, è pur vero che le specificità locali richiedono strategie mirate sulle peculiarità dell'ambiente di riferimento. E in ogni caso gli scenari che di si parano davanti nel breve, se non brevissimo termine richiedono decisioni drastiche al fine di tutelare la sicurezza degli abitanti e dei territori perilagunari e costieri dell'alto Adriatico. Non penso sia troppo lontano il momento in cui dovremo operare una significativa trasformazione della Laguna e quindi delle attività in essa presenti, redendola più simile a un lago costiero, isolandola in modo piuttosto deciso dal mare.
L'aspetto più critico di questa molteplicità di fattori problematici che rischiano di influenzare pesantemente la vita delle comunità insediate nel territorio della gronda lagunare di Venezia, e più in generale dell'alto Adriatico nei prossimi decenni, è che appare non vi sia affatto adeguata coscienza di ciò, non solo nelle popolazioni, ma nemmeno nelle Istituzioni. Eppure la comunità scientifica ormai sempre più pressantemente lancia allarmi, diffonde dati, propone soluzioni.
"Le Scienze" di Marzo dedicava la copertina a Venezia con l'eloquente titolo "Venezia Affonda" in quel numero si riportava un articolo di Anzidei, Vecchia e Florindo, ricercatori INGV, che riassumevano i vari risultati del progetto SAVEMEDCOASTS, progetto di ricerca circa i rischi di ingressione marina nelle piane costiere mediterranee. Nell'articolo si riportava che su 163 piane costiere, ossia aree che arrivano al massimo entro i 2 metri sul livello medio mare, per la combinazione dei vari fattori ricordati, praticamente nessuna esisterà fra 80 anni, stanti gli attuali trend climatici, l'area più ampia e con il maggior numero di abitanti coinvolti, manco a dirlo, è la costa altoadriatica. Le proiezioni dei vari modelli ci danno come probabile un incremento eustatico di circa 80 cm da qui al 2100 - pur con un incertezza di 25 cm - che però potrebbe diventare di oltre 2 metri, nello scenario peggiore di mutamento climatico posto dall'IPCC. A questo si aggiunge il tasso di subsidenza, mediamente di circa 3mm l'anno per la Laguna di Venezia, ma anche di 8mm in talune aree del Delta del Po'. I medesimi autori dell'articolo delle Scienze, in uno studio più articolato del 2019, pubblicato sulla rivista WATER, evidenziavano appunto come la subsidenza sia un fattore locale che probabilmente comporterà l'anticipo anche di qualche decennio degli effetti che l'IPCC prevede, a seguito del cambiamento climatico, per le varie aree costiere e per questo sollecitavano nelle conclusioni del loro studio, i decisori istituzionali a maggior solerzia nell'adottare misure di contenimento degli effetti.
La cosa che, relativamente alle possibilità di scenario, rende ancora più preoccupante la situazione è che mano a mano si perfezionano i modelli matematici e sopratutto gli strumenti di rilevamento, appare sempre più probabile che i livelli di innalzamento eustatico siano sottostimati e non di millimetri, ma di metri. Uno studio del 2019 pubblicato su Nature Communications, mostra che nuovi rilievi della NASA danno un errore, per difetto, alle stime fatte con gli attuali dati di rilevamento di circa due metri. Ossia gli scenari futuri di incremento eustatico sono errati di circa due metri. In termini di popolazione significa che da qui al 2100, nello scenario IPCC più ottimistico, 190 milioni di persone si troveranno in aree costiere che verranno sommerse o semi sommerse, con un incremento di 80 milioni rispetto alle stime attuali. Ma ciò che spaventa è il dato rispetto allo scenario IPCC più pessimista (ossia quello in cui non facciamo un tubo e la temperatura globale cresca di altri 2 gradi almeno), in quel caso sono 630 milioni le persone coinvolte, con circa già 340 milioni interessate nel 2050, a fronte delle 250 milioni odierne, risiedenti in area a cira un metro sul livello del medio mare (sono circa un miliardo gli abitanti attuali che risiedono in aree entro i 10 metri sul medio mare e saranno tutti coinvolti dai fenomeni di innalzamento eustatico o direttamente o indirettamente per i problemi idraulici che si instaureranno nell'entroterra). Questo ci impone di rafforzare lo studio e l'investimento in tecnologie di rilievo e elaborazione dati.
Tornando alla zona perilagunare, va detto che non siamo all'anno zero, pur tra tante difficoltà. Il monitoraggio della fascia costiera - che ricordiamo nel caso Veneto è pure una delle zone con gli indici di consumo di suolo tra i peggiori d'Italia - è in atto, e proprio per la complessa combinazione di fattori globali e locali si è adottato un approccio di suddivisione delle zone litorali in sub unità di estensione contenuta, separando intanto le zone litorali urbanizzate da quelle (poche) non urbanizzate, e, poi, rilevando puntualmente le zone soggette a erosione e quelle ad accrescimento per via delle dinamiche delle correnti marine, al fine di pianificare in modo puntuale interventi di difesa e rispascimento, uno studio del 2018 pubblicato sempre su WATER, illustra bene la metodica, evidenziando come siano attualmente strutturati i processi di erosione costiera nel litorale veneto. Il litorale è stato suddiviso in 20 unità funzionali, legate alle rispettive fonti di deposito sedimenti, per lo più corsi d'acqua, si sono analizzate le dinamiche erosive e alla luce di queste implementate eventuali soluzioni di difesa. Lo strumento è buono, ma va continuamente aggiustato in ragione dell'evoluzione dello scenario globale, tenuto conto che la difesa delle coste diventa attività sempre più complessa e onerosa.
Concludendo questo escursus, ricordiamo che prima della fine dell'ultima glaciazione(10mila anni fa circa) il livello del mare era 120 metri più basso di oggi, la costa era ad Ancona. Ma in precedenza, il livello è stato anche di 120 metri più alto (ai poli non vi erano calotte), questo a ricordare le dimensioni che il fenomeno eustatico può avere e la rapidirà in cui si manifesta. Orbene, se è vero che per i fenomeni globali servono soluzioni globali, è pur vero che le specificità locali richiedono strategie mirate sulle peculiarità dell'ambiente di riferimento. E in ogni caso gli scenari che di si parano davanti nel breve, se non brevissimo termine richiedono decisioni drastiche al fine di tutelare la sicurezza degli abitanti e dei territori perilagunari e costieri dell'alto Adriatico. Non penso sia troppo lontano il momento in cui dovremo operare una significativa trasformazione della Laguna e quindi delle attività in essa presenti, redendola più simile a un lago costiero, isolandola in modo piuttosto deciso dal mare.