martedì 21 agosto 2018

Riduzione del Rischio Idraulico in Ambiente Urbano - I Pocket Rain Parks

 
un esempio di  MPD a Chicago
La gestione del rischio idraulico in ambiente urbano, molto spesso è legata anche al contrasto ai processi di impermeabilizzazione del suolo e ai processi di degrado e abbandono di talune porzioni del territorio di città. La perdita di superficie con capacità di filtrazione fa sì che si riducano i tempi di corrivazione, per cui in caso di precipitazione la rete di captazione acque meteoriche riceve più apporti in meno tempo, spesso con un forte carico inquinante. Tali fenomeni meteorici improvvisi, ormai è noto, si fanno sempre più frequenti e intensi. Particolarmente nelle grandi aree urbane, dove il fenomeno delle isole di calore produce eventi atmosferici anche violenti. Il combinato disposto della riduzione delle superfici permeabili e della intensità dei fenomeni meteorici, unitamente alla riduzione della rete idrologica, può produrre allagamenti e financo esondazioni della rete idraulica superficiale, similmente a quanto abbiamo visto recentemente in diversi territori della bassa pianura veneta e delle zone perilagunari. Nel recente rapporto ISPRA 2018 sul consumo di suolo, si presenta una significativa esperienza relativamente consolidata all'estero (Chicago, in particolare, ma anche Londra e Melbourne per citare alcune delle città più importanti), circa i Pocket Rain Parks, potremmo tradurre in italiano come Micro Parchi Diffusi (MPD).
Tale realtà, presentata da Ilaria Cellini dell'Università di Roma Sapienza, sostanzialmente consiste nel recuperare porzioni di tessuto urbano, pubbliche o private, intercluse o in degrado, anche di pochi metri quadri, allestendole come vere e proprie oasi urbane. L'intervento consiste nel creare una depressione di 30-40 cm, eventualmente rimuovendo superficie impermeabilizzata, creare una rete drenante e di collettamento con la rete di raccolta acque meteoriche, insediare terreno fertile e piantumare con vegetazione adeguata. Dai dati raccolti i vantaggi sembrano evidenti. Da un punto di vista idraulico gli MPD arrivano a ridurre del 50%  l'afflusso alla rete di scarico durante eventi meteorici - le acque vengono poi rilasciate successivamente o perse per evapotraspirazione, evitando il collasso del sistema recettore - e ad abbassare fino al 30% il carico inquinante nelle acque - sostanzialmente attuando un processo di fitodepurazione. Si osservano poi effetti benefici sul microclima urbano, riducendo l'effetto isola di calore e le emissioni di CO2, per l'ovvia attività della vegetazione.
In termini di costi, non vi è una grande onerosità nella realizzazione e nemmeno nella manutenzione. Vi sono poi ovviamente effetti positivi circa la creazione di piccoli ecosistemi urbani e di miglioramento paesaggistico.
Si è anche osservato, nei casi in cui tali micro parchi siano stati realizzati in aree a degrado urbano, un miglioramento del contesto sociale con effetti positivi anche sulla socialità dei residenti e quindi sulla vivibilità dei quartieri.
Ci troviamo quindi di fronte ad una tipologia d'intervento non invasiva, ma piuttosto efficace, che potrebbe anche essere coniugata ad attività di contrasto sociale e responsabilizzazione collettiva, per esempio affidando la custodia di tali aree a realtà associative.
Potrebbe essere utile sperimentare soluzioni similari in alcune aree urbane di Padova e Mestre, in particolare nelle zone più periferiche, dove l'urbanizzazione e l'alterazione dell'idrografia sono state piuttosto pesanti e gli effetti si vedono ad ogni acquazzone. E dove spesso si sono creati veri e propri quartieri ghetto.

giovedì 2 agosto 2018

Inquinamento da Plastica, idee tante, fatti meno

isola di Campalto - il Gazzettino
Il problema dell'inquinamento da plastica dei mari è ormai drammaticamento noto, così come gli effetti devastanti sugli ecosistemi marini (che tanto per capire riguardano anche gli stock di pesca). Fonti principali di tali inquinamenti si debbono sia alle disinvolte procedure di smaltimento dei rifiuti a mare di talune flotte, sia all'inadeguatezza di molti sistemi portuali nella gestione dei rifiuti, ma sopratutto allo scarico a mare effettuato dai corsi d'acqua, che raccolgono quanto abbandonato al suolo in entroterra e in alcuni casi, di taluni paesi sottosviluppati, attraversano vere e proprie discariche, il tutto finisce a mare, con gli effetti anzi detti.  Nel nostro caso in Laguna. Ormai si sono moltiplicate le inziative di raccolta rifiuti in tale ambito e ogni anno si raccoglie sempre di più, l'inquinamento da plastica in un ambiente come quello Lagunare, già soggetto a forti pressioni e particolarmente grave, non solo sul piano estetico, ma sopratutto paesaggistico ed ecologico, favorendo il degrado ambientale e l'impoverimento degli ecosistemi.
Molti sono gli sforzi in corso per tentare di bloccare lo scarico a mare di rifiuti plastici da parte dei fiumi, come vi sono diversi progetti per l'eliminazione delle grandi "isole" di plastica negli oceani. recentemente COREPLA, il consorzio deputato alla raccolta degli imballaggi in plastica, ha presentato un progetto di dighe mobili, sperimentato nel po' finalizzato a intercettare i materiali raccolti lungo il suo corso dal fiume più lungo d'Italia. Presentazione in grande spolvero, con tanto di annuncio che tale tecnologia si applicherà ai grandi fiumi asiatici, vere e  proprie pattumiere galleggianti, tanto è il rifiuto che scaricano. In merito a questo tipo di solizione tecnica, non sono mancate le perplessità, però, si teme che questo tipo di soluzione interferisca con la navigazione, ma sopratutto possa essere problematica per gli organismi, specie quelli marini. E' stato inoltre sollevato il tema che tale innovazione possa avere ricadute negative in merito al rischio idraulico, generando barriere al deflusso o causando l'accumulo di detriti durante gli eventi di piena con possibili ripercussioni in termini di ostruzione allo scarico. Rispetto a questi sistemi statici di intercettazione dei rifiuti plastici, qualche altro esperto ha suggerito mezzi più "dinamici" utilizzabili anche in aree costiere, è il caso del progetto portato avanti dalla Marina Italiana in collaborazione con il dipartimento Nazionale della Protezione Civile. Tale soluzione pare avere l'indubbio vantaggio di non avere ripercussioni circa le capacità di deflusso del corso d'acqua. Sarebbe il caso di fare una sperimentazione su un caso concreto. 
Come si vede le buone intenzioni e le idee non mancano, meno i risultati. Lascia, però, perplessi vedere vari soggetti istituzionali, muoversi senza un minimo di coordinamento sul medesimo tema, con un'indubbia dispersione di risorse finanziarie, intellettuali e umane, che potrebbero essere invece più proficumanete concnetrate in un unico gruppo di lavoro per passare più celermente dai bei discorsi ai fatti concreti.

Il Paleocene è bello, ma non ci vivrei

Per tutti i fan dell'uso smodato del termine "Antropocene", mi sia permesso dire, che al netto delle angosce, alla fine, clima...