mercoledì 4 settembre 2019

misurare la Resilienza

Si usa spesso ultimamente, non sempre a proposito il termine RESILIENZA, che in parole povere è la capacità di un sistema, colpito da un evento catastrofico, di recuperare il suo assetto e le sue funzionalità, così come possedute precedentemente all'evento stesso. Questo concetto si applica, ovviamente, anche ai contesti antropici, ossia alle comunità umane che si riprendono dopo un evento calamitoso. A nostro avviso sarebbe più corretto parlare di resilienzE, poiché queste sono diverse in funzione del tipo di evento, sono diversi i tempi e i modi con cui una comunità, un territorio, reagisce dopo un'alluvione, rispetto a dopo un terremoto, o a un'eruzione vulcanica, piuttosto che a un incidente industriale o a un conflitto armato. Nel caso di specie, parleremo della resilienza alle alluvioni e in particolare della sua "misura". Come si misura la Resilienza e sopratutto a che serve farlo? La questione è posta in un interessante articolo pubblicato sulla rivista "WATERS", che pone la questione di elaborare un  UFRI, Urban Flood Resiliece Index - Indice della Resilienza Urbana all'Alluvione - in funzione di determinati scenari futuri dell'evoluzione climatica. Nell'articolo si fa riferimento a un caso di studio relativo ad un'area di Rio de Janeiro, ma le sue considerazioni sono più ampie. 
Come misurare, dunque, la resilienza di un contesto urbanizzato rispetto al rischio alluvionale? E' necessario costruire una complessa equazione che tenga conto di un ampio numero di fattori - da qui ne discende come il monitoraggio continuo dei parametri ambientali sia fondamentale - che vanno dalla complessità infrastrutturale del sito di interesse, la composizione socio economica, la tipologia degli edifici presenti, il valore economico dei manufatti e delle attività esistenti, le potenziali dimensioni del fenomeno alluvionale, la collocazione geografica. E poi sono  necessarie conoscenze dettagliate circa le dinamiche microclimatiche locali, la presenza di un modello idrogeologico e idrologico aggiornati e coerenti, un'adeguata elaborazione della morfologia del paesaggio e del territorio e dei suoi fenomeni peculiari. Tutti questi elementi opportunamente elaborati consentono di elaborarel'UFRI. Il quale poi va rapportato ai possibili scenari evolutivi del contesto. E gli scenari evolutivi dipendono da un lato dei fenomeni di mutamento climatico, dall'altro dalle attività di mitigazione/contrasto del rischio alluvionale operate dall'uomo. 
In ragione di questo l'UFRI varia. Per cui stimarlo consente di utilizzarlo successivamente per valutare quale sarà l'impatto degli interventi pianifica per affrontare il rischio idraulico e, quindi, adottare quelle soluzioni che consentiranno una maggior resilienza, ossia un migliore recupero (dove il migliore può stare per un "più rapido" per esempio) post evento (dacché non è realistico dire che sia possibile "eliminare" le alluvioni in aree soggette o assoggettabili). Nel caso preso in esame dall'articolo si  comparavano gli effetti sull'UFRI di due tipologie di interventi in un'area di Rio de Janeiro: da un lato un'opzione con la realizzazione di poche grandi infrastrutture di difesa idraulica, costituito da grandi invasi e canalizzazioni, dall'altra una più estesa edificazione di un sistema diffuso di piccoli e medi invasi. Nel caso studiato l'UFRI migliorava maggiormente con la seconda opzione. 
Orbene in un contesto complesso come il nostro ambito perilagunare, un approccio simile significherebbe davvero mettere a sistema la rete di competenze e conoscenze già esistenti, compensarne le lacune e sopratutto applicare una più coerente, coordinata e organica strategia di intervento, superando la frammentazione e spesso la contradditoriertà attuale. Un metodo quanto mai avveduto, specie alla luce degli scenari evolutivi che si presenteranno rapidamente in questo contesto territoriale, visti gli scenari climatici e morfologici che si stagliano all'orizzonte.

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