venerdì 28 agosto 2020

Migliora la qualità dei sedimenti dei canali di Venezia


Le notizie riguardanti la Laguna di Venezia, ultimamente sono, il più delle volte, poco confortanti. Fortunatamente non sempre è così. Abbiamo ancor in mente le immagini delle limpide acque lagunari durante il blocco delle attività nella fase acuta della pandemia di Covid-19, che sostanzialmente rendevano evidente ciò che era già noto, ossia quanto pesante sia l'impatto delle attività antropiche sulle acque della Laguna.

Un recente lavoro a firma Zonta et alii del 2020, condotto da varie strutture del CNR (Consiglio Nazionale delle Ricerche) da indicazioni positive in merito alla presenza di contaminanti nei sedimenti dei rii di Venezia. 

Tra il 1960 e i primi anni del 2000 nei canali di Venezia, al fine di garantiren la navigabilità, è stata condotta un'attività di dragaggio che ha comportato l'asporto di circa 3 milioni e mezzo di tonnellate di sedimenti, che si sono dovuti caratterizzare al fine di stabilirne le modalità di gestione. Sono state rilevate importanti contaminazioni da metalli pesanti e Idrocarburi Policicli Aromatici (IPA). Ovviamente conclusa l'opera di dragaggio, nei canali sono ripresi i processi di sedimentazione, per cui a partire dl 2005 ca, è stato possibile campionare i nuovi depositi per avere indicazioni sugli andamenti e le evoluzioni delle varie contaminazioni. Si sono eseguiti circa 800 campionamenti.

La città di Venezia è situata circa al centro della sia laguna, occupa una superficie di 6,3 km2 è abitata da circa 60mila abitanti e giornalmente ospita un flusso altrettanto grande di turisti e pendolari. I canali occupano una superficie di ca 0,43 km2, a cui si aggiungono gli 0,25 km2 del Canal Grande. La larghezza media dei canali e di 10m (con valori che vanno dai 3 a i 50 m) e la profondità media è di 2 m - ovviamente questo non vale per il Canal Grande). L'idrodinamica dei canali è ovviamente regolata dai processi mareali, i sedimenti che si depositano nei rii derivano sia dai processi lagunari che per un volume compreso tra il 15 e il 33% dal contesto urbano. Ovverosia la città. Le fonti sono varie dal materiale eroso dai palazzi, all'usura degli scafi delle imbarcazioni, ai processi connessi al moto ondoso, al materiale derivante dagli scarichi domestici e non - ricordiamo che buona parte di Venezia non ha fognatura.

Lo studio ha evidenziato un calo del 20% per Cadmio e Zinco, -25% per Arsenico, Piombo e IPA e -47%  per Mercurio, Cromo, Nichel e Zinco, rispetto a quanto rilevato sui sedimenti ante 1995. Vero è che nel caso del Rame, pur rilevando un calo del 50% rimane  comunque un date  molto elevato, questo perché la principale origine di questo contaminante sono le vernici protettive utilizzate per gli scafi delle imbarcazioni, che sebbene usate con maggior cautela che in passato, sono ancora le più diffuse e continuano ad essere problematiche. il calo degli IPA, si deve alla cessazione dell'uso già dagli anni '70 del carbone come combustibile e la sua sostitutuzione con altri carburanti. Parimenti il calo del Piombo è associabile alla cessazione dell'uso di benzine col Pb dalla fine degli anni '90 del secolo scorso. La riduzione degli altri contaminanti è correlata alla migliore gestione degli scarichi in Laguna e agli interventi di risanmento del polo industriale di Marghera, non che a qualche intervento in ambito urbano. 

Cosa implica questa migliorata qualità dei sedimenti dei rii? Dovendo rifarci ancora al "protocollo fanghi" del 1993 ossia al documento che da le indicazioni su come gestire i sedimenti di dragaggio in ambito lagunare, che li suddivide su base qualitativa in 4 categorie:

- A (non inquinati) usabili per ripristini morfologici in ambito lagunare

- B (moderatamente inquinati) sempre usabili per ripristini purché confinati

- C (inquinati) usabili per rialzi in aree fuori dall'oscillazione di marea e confinati

- oltre C (molto inquinati) da destinare a discariche/trattamenti fuori della Laguna

Riscontriamo che molti dei sedimenti dei rii, che prima erano da inquinati a molto inquinati, ora rientrano nei parametri per essere gestiti come B o addirittura A, se non fosse per il parametro Cu. Orbene è chiaro che la gestione di sedimenti tipo A o B ha costi significativamente più bassi e permette maggiori flessibilità, la rigidità del protocollo vigente non permette margini di manovra. Si dovrebbe poter verificare le modalità di gestione circoscrivendo la problematica al solo Rame, e comprendendo quale sia la soluzione più idonea, alla luce della geochimica di questo elemento.

Anche per tematiche come queste, si rileva l'essenzialità di un nuovo protocollo fanghi, quanto mai atteso e troppe volte annunciato come fatto. Anche perché senza quello, anche il Piano di Ripristino Morfologico della Laguna di Venezia resta al palo.


 

 

martedì 18 agosto 2020

Rilascio di elementi in traccia e cuneo salino

E' proprio di questi giorni la notizia dei problemi alle colture nella bassa pianura veneziana a causa dell'ingresso di acque salate dal sottosuolo in particolare alla foce di Brenta, come detto in post precedenti il fenomeno è causato dalla trasgressione marina, cioè dalla penetrazione delle acque marine verso terra a causa dell'eustatismo - innalzamento del livello del medio mare - legato ai processi di cambiamento climatico globale, con riscaldamento e scioglimento delle calotte polari e alla subsidenza - ossia l'abbassamento del terreno - dovuto a un mix di fenomeni locali, quali la compattazione dei sedimenti, la degradazione della sostanza organica, l'emungimento delle acque sotterranee. 

Tutti questi elementi generano dei processi concatenati che amplificano i rispettivi effetti, basti pensare che la penetrazione delle acque marine, a seguito della loro composizione chimica, in presenza di terreni argillosi genera un fenomeno definito come DECARBONATAZIONE ossia la rimozione per via chimica del carbonato di calcio presente nelle argille con loro scomposizione e riduzione volumetrica, ciò accentua la subsidenza e i fenomeni connessi, per esempio facilitando ulteriormente la penetrazione delle acque marine nell'entroterra. Va detto che la penetrazione delle acque marine ha tra gli altri effetti il danneggiamento della vegetazione e delle culture, e la compromissione di eventuali riserve idriche  sotterranee, in alcuni casi vi possono essere fenomeni di "allagamento da sotto", dovuto al galleggiamento delle acque dolci meno dense su quelle salate e la loro venuta a giorno. 

Oltre a questo, tale interazione chimica provoca il rilascio di elementi in traccia presenti nei terreni, il che, però, può essere usato per monitorare il processo di intrusione salina e andare a intervenire in via preventiva o comunque mirata a tutela delle acque uso irriguo e del territorio più in generale. E' quanto emerge da uno studio, pubblicato di recente su WATER, condotto sulla costa Ravennate. 

Lo studio è molto significativo data la prossimità dell'area con la zona perilagunare veneta e con la similarità degli ambienti, fatta di coste basse, sabbiose, foci fluviali, ambienti salmastri a ridosso della linea di costa, una densa urbanizzazione, uso turistico intenso e  industriale dei terreni, attività agricola, subsidenza - qui anche più accentuata - presenza di terreni ricchi di sostanza organica, per cui consente di fare ragionamenti sulle problematiche non solo della costa romagnola, ma anche veneta. 

Si è studiata un'area di circa 400km quadrati, comprensiva di specchi lacustri salmastri, corsi d'acqua naturali e artificiali, opere di regimazione delle acque, terreni con usi vari. Il territorio è stato suddiviso in 4 fascee in ragione della distanza dalla costa, caratterizzati da diverse geomorfologie e litologie e conseguentemente diversi processi geochimici:

- zona delle dune costiere

- zona delle Paleodune (vecchia linea di costa tardo pleistocenica)

- campagna uso agricolo

- zona cave di ghiaia (similmente all'alta pianura Veneta, nel caso ravennate vi sono depositi grossolani sottocosta, originatesi nel tardiglaciale

- altra zona agricola

Il monitoraggio dei pozzi esistenti o realizzati per lo studio ha riguardato diversi ioni, sodio, cloro solfati, Zinco, Vanadio, Cromo, Arsenico, Argento, Ferro, Manganese, Nichel e Piombo, oltre che Cobalto, Bario, Boro, Litio, Stronzio.

Lo studio ha richiesto anche di comprendere se vi fossero interazioni con le composizioni chimiche delle acque superficiali e sotterranee legate alle attività industriali e agricole, in ogni caso questo ha permesso di individuare nelle varie unità ambientali in cui è stata suddivisa l'area d'indagine, peculiari associazioni chimiche, connesse alla penetrazione delle acque marine sotterranee. Si sono così rilevati non solo particolari processi geochimici connessi con l'intrusione salina, ma anche dei precisi "marker" del fenomeno monitorabili tramite pozzi, ponendo le basi per un sistema di controllo in continuo.



Il Paleocene è bello, ma non ci vivrei

Per tutti i fan dell'uso smodato del termine "Antropocene", mi sia permesso dire, che al netto delle angosce, alla fine, clima...