venerdì 21 settembre 2018

Evoluzione del rischio ambientale nel bacino scolante della Laguna di Venezia

I recenti rapporti ISPRA relativamente ai dati 2017 sul monitoraggio del consumo di suolo, sul dissesto idrogeologico e sulla situazione dei fenomeni meteorologici, tenuto conto dei trend ad ampia scala non fanno fare considerazioni particolamente allegre relativamente all'evoluzione degli scenari di rischio connessi alle dinamiche idrauliche per il territorio del bacino scolante di Venezia. Analizzando il rapporto sugli Indicatori del CLIMA in Italia 2017 si evince che il 2017 è stato un anno particolamente secco, tanto da portare la Regione Veneto a richiedere l'emergenza siccità. E' stato a partire dal 1961, anno di avvio del monitoraggio sistematico delle variazioni climatiche, il nono anno più caldo, la temperatura media dell'Adriatico è stata di 18,9 °C, con tutto quanto  ciò comporti per le faune marine. Le precipitazioni sono state concentrate in alcuni momenti dell'anno e non sono mancati eventi di "flash  flood" - sostanzialmente fortunali improvvisi di straordinaria densità - in tutto l'ambito Veneto (basti pensare al caso agostano di Verona). In ambito perilagunare le precipitazioni si sono concentrate per lo più in febbraio, ottobre e novembre, con precipitazioni cumulate di oltre 2000mm/anno, valore molto più alto rispetto alla media nazionale. Cosa che si è manifestata attraverso eventi meteorologici decisamente intensi, di non sempre facile gestione. 
Il rapporto sul Dissesto idrogeologico in Italia 2018 ci evidenzia che il 9,3% del territorio regionale è in zona a pericolo intermedio per il rischio idraulico (P2), il 25,2% in zona a rischio basso (P1), il 6,7% in zona a rischio elevato (P3), dati in incremento rispetto al 2016.

Fig. 1 Popolazione residente in ambito P2 ISPRA 2018
V'è a dire che tra le provincie venete, quelle perilagunari presentano evidenze non particolarmente positive, Padova infatti si trova ad  avere 11,5% del proprio territorio in zona P3, in zona  P2 il  17,9%, e il 33,4% in zona P1. Venezia ha il 10,0% in zona P3, il 23,2% in zona P2 e il 54, 2% in zona P1.  Praticamente la maggioranza della popolazione regionale che risulta residente in aree a rischio idraulico medio si trova nel territorio a ridosso della Laguna di Venezia, come evidenzia la Fig. 1, dove il colore rosso indica valori di popolazione residente da 7000 abitanti in su, su base comunale.
Se si va a relazionare questi dati con quanto emerge dal Rapporto sul Consumo di Suolo 2018, si nota ulteriormente come la situazione connessa alla preservazione ambientale e la riduzione dei fattori di dissesto sia ben lungi dall'avere intrapreso, se non nelle enunciazione degli Enti,  un trend in riduzione, anzi.
A scala regionale, si rileva che un 9,0% del consumo di suolo in territorio veneto (a fronte di una media nazionale del 7,6%) è avvenuto in ambiti soggetti a vincoli (paesaggistici, piuttosto che ambientali, etc...),  ponendo la regione al 2° posto in ambito nazionale in questa non invidiabile classifica, la regione è, invece, "solo" al 5° posto, con l'11,4% di suolo consumato, per ciò che concerne la fascia entro i 150 mt da corpi idrici superficiali permanenti, quindi, in ambito verosimilmente soggetto o assoggettabile a rischio idraulico. Su base nazionale si è consumato suolo per il 25% entro la fascia dei 300 dalla costa, confermando il trend di maggior consumo in zone di bassa pianura e a ridosso della costa (la gronda della Laguna di Venezia ricade perfettamente nelle descrizione). Venendo nel particolare dell'ambito del bacino scolante lagunare, si rileva un consumo del 11,2% entro i 300mt, del 10,8% tra i 300 e i 1000mt e si arriva al 10,2% per la fascia fino ai 10km dalla linea di costa. Purtroppo i parametri sono in aumento rispetto al 2016. E si badi che tali stime sono per difetto, non essendo ancora completa la classificazione del territorio. I dati comunque confermano un consumo di suolo marcato nelle due Province sotto cui ricade il margine lagunare, Venezia e Padova (per la piccola quota occupata dal comune di Codevigo), come si nota dalla Fig. 2, ove il colore rosso indica i valori più alti (in ambito perilagunare sono eccezioni solo Codevigo a sud e Caorle a nord).

Fig.2 Consumo di Suolo - Livello Comunale ISPRA 2018
L'ambito metropolitano di Venezia rivela un consumo di  363km2 in termini assoluti, nel corso del 2017, pari al 14,8%, con un incremento di 72km2 in solo ambito comunale (che pone il comune di Venezia per consumo di suolo in ambito regionale),  mentre quello padovano ha un dato complessivo del 19,0%, pari a 408km2 complessivi, di cui 46km2 solo in ambito comunale, portando al 49,4% il dato complessivo di consumo rispetto alla superficie comunale (questo dovrebbe lungamente far riflettere quando si parla delle criticità idrauliche del territorio  di Padova e periferia e del noto "nodo idraulico" di Padova). Concentrandoci sugli aspetti legati ai fenomeni di rischio idraulico, visto anche quando evidenziato dal rapporto sul dissesto idrogeologico, in ambito regionale il 9,3% del territorio è stato consumato nella fascia intermedia (P2) di pericolosità idraulica, il 25,2% in quella bassa (P1) e il 6,7% in quella alta (P3). Tali dati salgono significativamente per il territorio Padovano, ben 11,3% in P3, 17,9% in P2, 33,40% in P1, mentre per Venezia metropolitana siamo al 54,2% in P1, 23,2% in P2, 10,7% in P3.
La consapevolezza di tale situazione non sempre sembra evidente nella popolazione regionale e soprattutto in chi gestisce il governo del territorio. La recente legge regionale sul contrasto al consumo di suolo, al netto delle opinioni e polemiche dovrà essere messa alla prova nell'immediato futuro per verificarne l'efficacia nel contrasto ai trend evidenziati e la loro inversione. Sperando che non sia una soluzione ormai tardiva alla progressione dei fenomeni di dissesto.
 

martedì 21 agosto 2018

Riduzione del Rischio Idraulico in Ambiente Urbano - I Pocket Rain Parks

 
un esempio di  MPD a Chicago
La gestione del rischio idraulico in ambiente urbano, molto spesso è legata anche al contrasto ai processi di impermeabilizzazione del suolo e ai processi di degrado e abbandono di talune porzioni del territorio di città. La perdita di superficie con capacità di filtrazione fa sì che si riducano i tempi di corrivazione, per cui in caso di precipitazione la rete di captazione acque meteoriche riceve più apporti in meno tempo, spesso con un forte carico inquinante. Tali fenomeni meteorici improvvisi, ormai è noto, si fanno sempre più frequenti e intensi. Particolarmente nelle grandi aree urbane, dove il fenomeno delle isole di calore produce eventi atmosferici anche violenti. Il combinato disposto della riduzione delle superfici permeabili e della intensità dei fenomeni meteorici, unitamente alla riduzione della rete idrologica, può produrre allagamenti e financo esondazioni della rete idraulica superficiale, similmente a quanto abbiamo visto recentemente in diversi territori della bassa pianura veneta e delle zone perilagunari. Nel recente rapporto ISPRA 2018 sul consumo di suolo, si presenta una significativa esperienza relativamente consolidata all'estero (Chicago, in particolare, ma anche Londra e Melbourne per citare alcune delle città più importanti), circa i Pocket Rain Parks, potremmo tradurre in italiano come Micro Parchi Diffusi (MPD).
Tale realtà, presentata da Ilaria Cellini dell'Università di Roma Sapienza, sostanzialmente consiste nel recuperare porzioni di tessuto urbano, pubbliche o private, intercluse o in degrado, anche di pochi metri quadri, allestendole come vere e proprie oasi urbane. L'intervento consiste nel creare una depressione di 30-40 cm, eventualmente rimuovendo superficie impermeabilizzata, creare una rete drenante e di collettamento con la rete di raccolta acque meteoriche, insediare terreno fertile e piantumare con vegetazione adeguata. Dai dati raccolti i vantaggi sembrano evidenti. Da un punto di vista idraulico gli MPD arrivano a ridurre del 50%  l'afflusso alla rete di scarico durante eventi meteorici - le acque vengono poi rilasciate successivamente o perse per evapotraspirazione, evitando il collasso del sistema recettore - e ad abbassare fino al 30% il carico inquinante nelle acque - sostanzialmente attuando un processo di fitodepurazione. Si osservano poi effetti benefici sul microclima urbano, riducendo l'effetto isola di calore e le emissioni di CO2, per l'ovvia attività della vegetazione.
In termini di costi, non vi è una grande onerosità nella realizzazione e nemmeno nella manutenzione. Vi sono poi ovviamente effetti positivi circa la creazione di piccoli ecosistemi urbani e di miglioramento paesaggistico.
Si è anche osservato, nei casi in cui tali micro parchi siano stati realizzati in aree a degrado urbano, un miglioramento del contesto sociale con effetti positivi anche sulla socialità dei residenti e quindi sulla vivibilità dei quartieri.
Ci troviamo quindi di fronte ad una tipologia d'intervento non invasiva, ma piuttosto efficace, che potrebbe anche essere coniugata ad attività di contrasto sociale e responsabilizzazione collettiva, per esempio affidando la custodia di tali aree a realtà associative.
Potrebbe essere utile sperimentare soluzioni similari in alcune aree urbane di Padova e Mestre, in particolare nelle zone più periferiche, dove l'urbanizzazione e l'alterazione dell'idrografia sono state piuttosto pesanti e gli effetti si vedono ad ogni acquazzone. E dove spesso si sono creati veri e propri quartieri ghetto.

giovedì 2 agosto 2018

Inquinamento da Plastica, idee tante, fatti meno

isola di Campalto - il Gazzettino
Il problema dell'inquinamento da plastica dei mari è ormai drammaticamento noto, così come gli effetti devastanti sugli ecosistemi marini (che tanto per capire riguardano anche gli stock di pesca). Fonti principali di tali inquinamenti si debbono sia alle disinvolte procedure di smaltimento dei rifiuti a mare di talune flotte, sia all'inadeguatezza di molti sistemi portuali nella gestione dei rifiuti, ma sopratutto allo scarico a mare effettuato dai corsi d'acqua, che raccolgono quanto abbandonato al suolo in entroterra e in alcuni casi, di taluni paesi sottosviluppati, attraversano vere e proprie discariche, il tutto finisce a mare, con gli effetti anzi detti.  Nel nostro caso in Laguna. Ormai si sono moltiplicate le inziative di raccolta rifiuti in tale ambito e ogni anno si raccoglie sempre di più, l'inquinamento da plastica in un ambiente come quello Lagunare, già soggetto a forti pressioni e particolarmente grave, non solo sul piano estetico, ma sopratutto paesaggistico ed ecologico, favorendo il degrado ambientale e l'impoverimento degli ecosistemi.
Molti sono gli sforzi in corso per tentare di bloccare lo scarico a mare di rifiuti plastici da parte dei fiumi, come vi sono diversi progetti per l'eliminazione delle grandi "isole" di plastica negli oceani. recentemente COREPLA, il consorzio deputato alla raccolta degli imballaggi in plastica, ha presentato un progetto di dighe mobili, sperimentato nel po' finalizzato a intercettare i materiali raccolti lungo il suo corso dal fiume più lungo d'Italia. Presentazione in grande spolvero, con tanto di annuncio che tale tecnologia si applicherà ai grandi fiumi asiatici, vere e  proprie pattumiere galleggianti, tanto è il rifiuto che scaricano. In merito a questo tipo di solizione tecnica, non sono mancate le perplessità, però, si teme che questo tipo di soluzione interferisca con la navigazione, ma sopratutto possa essere problematica per gli organismi, specie quelli marini. E' stato inoltre sollevato il tema che tale innovazione possa avere ricadute negative in merito al rischio idraulico, generando barriere al deflusso o causando l'accumulo di detriti durante gli eventi di piena con possibili ripercussioni in termini di ostruzione allo scarico. Rispetto a questi sistemi statici di intercettazione dei rifiuti plastici, qualche altro esperto ha suggerito mezzi più "dinamici" utilizzabili anche in aree costiere, è il caso del progetto portato avanti dalla Marina Italiana in collaborazione con il dipartimento Nazionale della Protezione Civile. Tale soluzione pare avere l'indubbio vantaggio di non avere ripercussioni circa le capacità di deflusso del corso d'acqua. Sarebbe il caso di fare una sperimentazione su un caso concreto. 
Come si vede le buone intenzioni e le idee non mancano, meno i risultati. Lascia, però, perplessi vedere vari soggetti istituzionali, muoversi senza un minimo di coordinamento sul medesimo tema, con un'indubbia dispersione di risorse finanziarie, intellettuali e umane, che potrebbero essere invece più proficumanete concnetrate in un unico gruppo di lavoro per passare più celermente dai bei discorsi ai fatti concreti.

mercoledì 4 aprile 2018

Piano Morfologico della Laguna di Venezia. Tutto da rifare.

Ampio risalto ha avuto in questi giorni  sulla stampa la bocciatura del Piano Morfologico per la Laguna di Venezia, la questione non è di poco conto, poiché il piano ha avuto una gestazione piuttosto lunga e travagliata ed era dai più atteso come strumento che finalmente facesse un po' di ordine in materia lagunare, in particolare razionalizzasse la pletora di idee e interventi in previsione nell'ambito della Laguna di Venezia, dando finalmente degli indirizzi chiari per iniziare a marciare con maggior coerenza verso un risanamento della Laguna e una lotta al suo degrado e puntualizzasse meglio quali siano le attività sostenibili, e in che termini, in ambito lagunare. Il Piano è stato oggetto di numerose osservazioni di Enti e soggetti vari, segno anche queste delle contraddizioni evidentemente presenti. Il giudizio è stato impietoso. E il Ministero ha bocciato il Piano. Evidenziando le carenze riscontrate. Manca una seria riflessione in termini sedimentologici, in particolare circa il tema del recupero di apporto sedimentario. Non vi sono in particolari considerazioni sulla questione qualitativa e sopratutto una correlazione col nuovo protocollo fanghi. Mancano valutazioni in merito alle opere infrastrutturali in realizzazione o in progetto in ambito lagunare, ossia MOSE e IDROVIA per citarne alcune e alle ricadute/interazioni con la morfologia lagunare, idem rispetto alle opere previste dalla Portualità. Da più parti è stato sottolineato lo scarso rilievo dato alle questioni trasportistiche e turistiche, nonché stigmatizzate alcune valutazioni fatte in merito alle attività di Pesca. Completamente assenti gli approfondimenti sulle Valli da Pesca. Io ci aggiungo che non ho visto riflessioni relativamente alla questione rischio idraulico nell'immediato retroterra lagunare e quindi le relazioni con i corpi idrici naturali o artificiali situati a ridosso della conterminazione lagunare. Mi hanno francamente fatto pensare le parole del Direttore del Corila, il Consorzio di ricerca estensore del Piano, segnalando come tali carenze siano imputabili alle direttive seguite dal Consorzio nell'elaborazione. Direttive che mi pare percepire provenire da Enti altri, quali l'ex - Mave. Trovo un fatto serio che su tali questioni (parlo senza approfondimento diretto sul tema) un ente che dovrebbe essere garanzia di rigore scientifico, come il CORILA, si trovi a non potere esercitare fino in fondo il proprio ruolo (perché?) e che perciò condizioni la propria attività che si vorrebbe improntata all'oggettività, che ha compito di produrre una proposta di pianificazione che dovrà accompagnare  a Laguna nei prossimi anni e se possibile invertirne la tendenza al degrado. Tra l'altro non ho visto adeguatamente sviscerata la questione della presenza di inquinanti nello scolo in Laguna, tra cui una riflessione sul tema PFAS io non disdegnarei. Il CORILA si è impegnato a elaborare nuovo Piano, senza ulteriori aggravi di costi per le casse pubbliche (di certo con ulteriori dilazioni di tempo - frattanto gli altri in Laguna non stanno con le mani in mano), ma bisogna agire con ponderazione, prima di ipotecare il nostro territorio. Staremo a vedere.

Il Paleocene è bello, ma non ci vivrei

Per tutti i fan dell'uso smodato del termine "Antropocene", mi sia permesso dire, che al netto delle angosce, alla fine, clima...